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sabato 29 marzo 2014

Università, riferimento per la progettazione pubblica dell’ambiente e dell’economia sostenibile?

Come progettista, tecnico installatore di impianti industriali e ambientali e da pensionato, inventore di soluzioni industriali e ambientali globali, il sottoscritto non trova interlocutori in un mondo schiavo delle specializzazioni. Come tutti, anche le Università non rispondono, per questo al titolo dell’articolo c’è un grosso punto interrogativo. Ma rappresentano il futuro e l’articolo è dedicato, soprattutto, a loro. 

I problemi che solleva il sottoscritto sono sfuggiti alla scienza, alla tecnica, alla politica e all’economia. Anche le soluzioni che propone non trovano interlocutori per una semplice ragione: sono multidisciplinari. Per rispondere il settore pubblico dovrebbe nominare apposite commissioni, il privato dovrebbe realizzare apposite associazioni di imprese. 

Entrambe, commissioni e associazioni, darebbero risposte provvisorie. Poi, ognuno ritornerebbe al proprio lavoro. Invece servono risposte multidisciplinari quotidiane nella gestione dell’ambiente e dell’economia del futuro. Le università sono già multidisciplinari (anche se non sfruttano questa qualità come deve essere sfruttata) e presenti in tutti i territori del mondo. Ma non fanno né sono chiamate a fare sopralluoghi accurati prima di realizzare impianti pubblici depurativi ed energetici. 

A che servono indagini accurate se non si stabiliscono i parametri da verificare? Tutti sono convinti, in buona o cattiva fede, che il sistema di protezione ambientale sia quello attuale. Occorrono soltanto maggiori investimenti per coprire meglio i territori. Invece, per progettare impianti globali è necessario verificare se esistono le risorse naturali per neutralizzare l’inquinamento e proteggere l’ambiente. E’ vero che nulla si crea e tutto si trasforma ma è necessario avere gli ingredienti giusti al posto giusto. Nel caso di un impianto termico, ad esempio, non basta soltanto l’acqua di raffreddamento, serve anche quella necessaria per neutralizzare il CO2 che nessuno ha mai preso in considerazione. E servono maggiori spazi per concedere i tempi di contatto ai reagenti. 

L’ingombro di una centrale termoelettrica può anche triplicare ma è poca cosa nei confronti della protezione dell’ambiente che non poteva essere fatta con semplici ciminiere. La scienza non dovrebbe meravigliarsi se vuole utilizzare sistemi naturali, senza barare, nascondendo il CO2 nel sottosuolo, ma anche rinunciando a inviare carbonati ai mari che ne hanno bisogno. E’ necessario ripartire da zero, ragionando senza interessi di parte, scegliendo tra le tecnologie sviluppate quelle che hanno il miglior rendimento globale, non visto soltanto in un’ottica locale. Ragionando e agendo nel rispetto di queste regole anche l’economia cambierà radicalmente, producendo più lavoro e una maggiore equità nella distribuzione della ricchezza. Riporto di seguito alcuni argomenti trascurati, la cui soluzione, a parere del sottoscritto, comporta una rivoluzione globale della società: industriale, urbana, agricola, energetica, ambientale.  

1) Perché spendere risorse per depurare le acque inquinate urbane quando possiamo concedere libero sfogo ai nutrienti in esse contenuti per produrre biomasse digeribili che producono energia? E’ questo quello che ha pensato il sottoscritto quando si è reso conto che alle attuali depurazioni sfuggono immense quantità di acque inquinate dall’agricoltura, dalla zootecnia, dagli scarichi abusivi, proponendo gli stagni biologici sovrapposti che sfruttano la fotosintesi per depurare gratis le acque man mano che salgono verso l’alto. I fanghi che si accolgono nei fondali possono essere facilmente estratti e digeriti per produrre il metano necessario a produrre l’energia che serve per il sollevamento delle acque e dei fanghi stessi. E se queste acque contengono metalli pesanti o sali in grandi quantità come quelle marine o salmastre, (o materiali radioattivi come le grandi quantità che stanno inquinando per estrarre lo shale gas) possiamo far circolare sotto la superficie ricoperta da piante acquatiche dei cestelli forati contenenti resine di scambio ionico, che trasportati da convogliatori aerei mono o birotaia porterebbero le resine al lavaggio e rigenerazione rilasciando i sali o metalli pesanti in fanghi che sarebbero trattati separatamente per recuperare il recuperabile. Questo sistema consente di depurate e desalinizzare portate di acqua migliaia di volte superiori a quelle che depuriamo o desalinizziamo ora.

2) Perché trascinare per centinaia di chilometri fanghi, sedimenti, acque di scarico urbane e piovane nelle fogne per centinaia di chilometri per raggiungere lontani depuratori? Non lo sappiamo che le proteine che contengono zolfo producono idrogeno solforato, le urine azoto ammoniacale? Queste sostanze insieme distruggono l’ossigeno, producono acido solforico e acque settiche, la cui depurazione deve essere preceduta da una costosa rigenerazione, alti consumi energetici, emissioni atmosfera, per produrre alla fine, comunque acque acide. Senza fare niente e senza consumi energetici, nelle vecchie fosse Imhoff abbattevamo fino al 35% dei carichi organici e fino all’80% dei sedimenti. Sarebbe bastato un piccolo sforzo nel migliorare questo sistema aerando soltanto la zona superiore ed estraendo i fanghi da quella inferiore. In questo modo avremmo creato dei depuratori verticali inodori di poco ingombro PVUM (purifying vertical urbans module) inseriti nel tessuto urbano e per vie separate (non in comune), avremmo potuto inviare i fanghi ai digestori e le acque agli stagni biologici sovrapposti. Le acque (depurandosi) produrrebbero altri fanghi che si aggiungerebbero a quelli già prodotti dai depuratori verticali, aumentando la produzione energetica dei digestori.

3) Perché le ciminiere continuano ad essere dei semplici tubi rivolti verso il cielo? Non lo sappiamo che Il CO2 e i SOx sono più pesanti dell’aria? Se creiamo una camera di espansione all’estremità superiore delle ciminiere e le realizziamo con doppia camera, senza fare niente altro, a causa dell’azzeramento della velocità dei fumi, buona parte delle particelle più pesanti (ceneri CO2, SOx), anziché disperdersi nell’atmosfera, cadrebbero verso il basso: CCPC (capture cooling purification chimney). Ma potremmo aumentare la percentuale inserendo dei ventilatori che richiamano verso il basso i fumi e addirittura, inserire filtri elettrostatici in queste camere di espansione. Cosa ne faremmo di quest’aria inquinata ricca di CO2? Semplice, la utilizzeremmo per ossidare le acque nei depuratori verticali urbani (pos.2). Come? Se c’è spazio in superficie, realizzando una mini serra calcarea, sopra i depuratori e facendovi scorrere le acque che ossidandosi si arricchiscono anche di carbonati consumando il CO2. Se non c’e spazio usiamo dei diffusori di aria e dosiamo ossido di calcio per assorbire il CO2, producendo ugualmente carbonati nelle acque. Se la produzione di CO2 catturata dalle ciminiere è superiore a quella sorbibile dalle acque comprimiamo il CO2 in serbatoi e reti interrate per utilizzarlo negli impianti di maggiori dimensioni dove si depurano e alcalinizzano anche le acque piovane e agricole (pos 1). 

4) Perché le ciminiere, oltre che essere utilizzate come recuperatori del CO2 (pos 2) non sono utilizzate anche come recuperatori di calore idrotermico e aereotermico per l’alimentazione delle caldaie urbane?. Parliamo prima dell’idrotermico
Le caldaie di riscaldamento e consumo di acqua calda alimentate a gas sono alimentate delle autoclavi condominiali. Le quali sono costituite, in genere, da almeno un (apt), atmospheric pressure tank (serbatoio a pressione atmosferica) più (etcw), espansion tanks for cold water (serbatoio di espansione per l’acqua fredda) che è pressurizzato con aria e un gruppo (cwlp), cold water lift pump ( sollevamento dell’acqua fredda). Per effettuare il recupero idrotermico dobbiamo aggiungere al sistema autoclave un (ethw), espansion tanks for hot water (serbatoio di espansione per l’acqua calda) e un (hwcp), hot water circulating pump ( gruppo di sollevamento dell’acqua calda. Inoltre dobbiamo a aggiungere  le tubazioni necessarie per i collegamenti tra lo scambiatore di calore (fgwe) contenuto nella ciminiera e il serbatoio di espansione per l’acqua calda (ethw). La nuova rete (bws) non è altro che lo stesso scambiatore (fgwe) che prolunga il proprio percorso ritornando al serbatoio (ethw). 

L’acqua consumata da questo circuito chiuso che alimenta solo le caldaie viene reintegrata automaticamente dal serbatoio (etcw) tramite la valvola unidirezionale che lo collega a (ethw). Lo scambiatore (fgwe) segue tutto il percorso dei fumi, avvolgendosi a spirale sulla canna fumaria interna. Da esso si staccano le diramazioni che distribuiscono l’acqua preriscaldata alle singole utenze, che possono essere le (db) domestic boiler (caldaie domestiche), oppure (pfb), public facility boiler (caldaie condominiali). Lo scopo di questo circuito è, soprattutto, quello di alimentare con acqua preriscaldata dal calore dei fumi, oggi sprecato, le acque che entrano nella caldaia, riducendo il salto termico e quindi i consumi energetici proporzionalmente. 
Infatti, l’energia consumata per il riscaldamento è data dalla semplice formula E = cs·m·(Tfinale – Tiniz), dove cs è il calore specifico dell’acqua e m è la massa. 

Questo significa che se riduciamo il salto termico nella caldaia del 25 % riduciamo anche il consumo energetico della stessa percentuale. Non è male, se si considera che le ciminiere CCPC (capture cooling purification chimney) nascono soprattutto per risolvere problemi ambientali. Se si considera che la temperatura dei fumi all’uscita delle caldaie comuni si aggira sui 180 gradi e quelle a condensazione sui 65 gradi centigradi, non dvrebbe essere una cattiva idea se aggiungiamo anche una terza camera alle ciminiere per consentire anche il recupero aerotermico del calore. Infatti, la terza canna anulare esterna, collegata  con l’atmosfera, preriscalderebbe l’aria comburente o l’aria di rinnovo dei condizionatori. Quindi potremmo aumentare ulteriormente il rendimento di caldaie e condizionatori. Il deposito di brevetto del sottoscritto si è fermato alla ciminiera con doppia canna fumaria, scambiatore di calore e camera di espansione superiore. 

Il sottoscritto ha ritenuto inutile brevettare la terza camera se è già difficile vedere realizzata la seconda, senza un intervento legislativo apposito in favore di questo tipo di ciminiere. Ma è solo questione di tempo perché già si stanno realizzando soluzioni (pompe di calore a gas ) che sfruttano per mezzo di sonde immerse il calore contenuto nel sottosuolo e nelle acque di falda pur di non scambiare il calore con aria e acque alla temperatura ambiente esterna, che nei mesi invernali è molto più bassa di quella che si può ritenere costante nel sottosuolo. Certamente le ciminiere CCPC risolvono più problemi insieme. Oltre tutto si sommano, non sono alternativi a quelli gia utilizzati dalle pompe di calore, caldaie e condizionatori. 

5).Per le grandi ciminiere delle centrali termoelettriche, degli alti forni, inceneritori, cementifici, fornaci produttori di calcio che cosa facciamo? Usiamo lo stesso sistema per recuperare i fumi e abbiniamo le nuove ciminiere a grandi serre calcaree, dove in un ambiente saturo di CO2, piogge d’acqua artificiali producono carbonati nelle acque che è il sistema usato dalla natura, oggi insufficiente per la massiccia produzione di CO2 di origine fossile. 

6) Perché l’energia fossile è più economica delle altre? In parte perché bisogna soltanto estrarla dal sottosuolo, ma soprattutto perché la produzione non rispetta le regole ambientali sulle depurazioni, sia nelle fasi di estrazione (leggi shale gas) sia nelle fasi di produzione dell’energia. Le centrali termoelettriche attuali producono migliaia di MWh, non raffreddano le acque, non depurano sufficientemente i fumi, non recuperano il calore e non trasportano nemmeno un grammo di carbonato nelle acque. Considerando che l’energia è prodotta da impianti pubblici, bisogna dire che chi ha progettato le centrali termoelettriche da 200 anni a questa parte Ha dimostrato di non conoscer niente dei sistemi naturali di difesa dell'ambiente. Gli slogan pubblicitari sulla ricerca che fanno i gestori dell’ energia per attirare clienti, li raccontino a qualcun altro. Hanno fatto pochissimo per proteggere l’ambiente. 

 Le ciminiere CCPC e le serre calcaree non sono invenzioni tanto complicate da non esistere ancora nel 2014. Se esistessero, l’energia fossile sarebbe pulita come il solare e l’eolico, ma creerebbe  anche più lavoro questo non sarebbe un male in vista della crescita mondiale della popolazione.  Solo in quel caso potremmo confrontare costi e benefici. Forse, a breve, si potrà fare un confronto reale tra energia fossile e biologica che potranno convivere insieme per qualche millennio perché il calore che viene disperso nelle acque e nell’aria dalle centrali termoelettriche arriva fino al 70% del potere calorifero inferiore del combustibile nel caso del carbone, 60% nel caso del gasolio e metano, 50% nel caso di centrali con ciclo combinato. L’abbinamento dell’energia fossile con quella biologica sarà la formula vincente del futuro perché il calore oggi sprecato dalle centrali termoelettriche sarà usato per riscaldare digestori anaerobici di grandi capacità appositamente progettati dal sottoscritto. 

Oggi, per produrre energia da biogas dobbiamo sprecarne circa il 40% per riscaldare i digestori che producono il biogas. Ma bisogna anche considerare che il biogas prodotto contiene il 25 – 30% di CO2 . Il quale oltre a essere un gas serra riduce della stessa percentuale il potere calorifero del biogas prodotto. L’abbinamento tra il fossile depurato e il biologico del futuro consentirà anche l’abbinamento tra LDDC (linear digester dehydrator composter digestor), CCPC (capture cooling purification chimney), VMCPG vertical mechanized covered production green house, BCSVP (biological covered superimposed ponds) per ottenere un biogas poverissimo di CO2 , acque depurate e alcalinizzate, compost agricolo in grande quantità direttamente insaccato.

7) Dove prendiamo tutto il calcio e magnesio necessari per combattere l’acidificazione dei laghi e dei mari? Dai ricercatori è stata compilata una graduatoria degli elementi più diffusi nelle rocce, indipendentemente dalla genesi di queste: ossigeno 46,6%; silicio 27,7%; alluminio 8,1%; ferro 5,0%; calcio 3,6%; sodio 2,8%; potassio 2,6%; magnesio: 2,1%. Non è un problema trovare il calcio e il magnesio in natura, anche se dovessimo spianare qualche montagna calcarea fino a quando il biologico non risanerà i mari e le terre e i combustibili fossili sostituiti. L’importante è non emettere CO2 nell’atmosfera per produrre carbonati e utilizzare lo stesso CO2 delle ciminiere per corrodere il materiale calcareo insieme all’acqua. 

Nei cestelli delle serre calcaree VMCPG possiamo metterci anche altri materiali calcarei soggetti all’erosione. Pensiamo agli inerti cementizi delle demolizioni, opportunamente separati dalle sostanze inquinanti contenute negli intonaci. Questi sono composti dal 64% ossido di calcio, 21% ossido di silicio, 6,5% ossido di alluminio, 4,5% ossido di ferro, 1,5% ossido di magnesio, 1,6% solfati, 1% altri materiali, tra cui soprattutto acqua. Pensiamo ad estrazioni calcaree miste da effettuare direttamente dai fondali marini, prima che siano compattate e amalgamate dalle pressioni idrostatiche e dai millenni. Senza andare a disturbare importanti riviste scientifiche, si cita da Wikipedia un piccolo stralcio della voce “calcare”: “La formazione organogena del calcare deriva dal fatto che molti esseri viventi sono dotati di un guscio scheletro calcareo. Dopo la morte di tali organismi, i resti dopo un percorso più o meno lungo vanno a fondo, deponendosi sul fondale marino. Dopo la decomposizione delle parti molli, le parti mineralizzate formano sedimenti che ricoprono aree sovente di notevole estensione. 
 Ad esempio, Le “melme a globigerina” coprono oggi il 37,4% del fondo del mare che corrisponde al 25,2% dell'intera superficie terrestre”. La “globigerina” è una pietra morbida calcarea che tende a indurirsi con il tempo e l’esposizione all’aria. Con la tecnologia moderna sarebbe abbastanza semplice estrarre le melme con l’aiuto della pressione idrostatica. E’ solo un’idea, come tante, ma si potrebbero realizzare piattaforme galleggianti attrezzate per estrarre, aerare, disidratare e insaccare queste melme con lo stesso sistema che il sottoscritto impiega da anni virtualmente (descritto in altre pubblicazioni). 
A mio parere, è l’unico sistema per produrre grandi quantità di fanghi disidratati anche se deve essere migliorato con la sperimentazione. Per le piccole quantità di fango e compost che produciamo ora, gli imprenditori dell’ambiente preferiscono gli attuali sistemi. Ancora nessuno ragiona in termini di protezione globale dell’ambiente, dove tutto deve essere moltiplicato almeno per cento, e l’ambiente deve essere indissolubilmente legato alla produzione di energia e al risanamento dei mari e dei suoli attraverso grandi scorciatoie dei sistemi naturali che solo la grande industria applicata all’ambiente potrà consentire.
Non esiste nulla nel mondo di quanto riassunto nei sette punti sopra esposti e il sottoscritto che ne è l’inventore dall’ormai lontano novembre 2012 (il sistema di disidratazione risale al 2009) ancora non trova interlocutori istituzionali. E’ già strano che le multinazionali e i ricercatori pubblici si concentrino su singole soluzioni più o meno commerciali, rigorosamente separate le une dalle altre. L’unico che propone soluzioni globali e collegate è un pensionato. Ma quello che è peggio è il silenzio che accompagna queste soluzioni che non potranno mai diventare reali perché gli LDDC, CCPC, VMCPG, BCSVP si devono confrontare sul piano economico con surrogati commerciali di potenzialità mille volte inferiori nella protezione dell’ambiente. 

Nel calcolo dell'efficienza energetica, coloro che governano l’ambiente dovrebbero mettere rutti i dati, compresi i costi delle portate di acqua e aria depurate. Nel caso dell’energia biologica abbinata alla fossile si dovrebbero scalare i costi per la pulizia dell’energia fossile, quelli depurativi delle acque urbane (che sono depurate male essendo rese acide e con emissioni di CO2) e agricole (che oggi non sono depurate);  i costi delle protezioni oceaniche e lacustri per mezzo dell’alcalinizzazione, che oggi non esistono; quelli delle depurazioni dell’aria urbana che oggi non è possibile fare, bisogna aggiungere anche il valore dei concimi e dei posti di lavoro che si creeranno. La logica ed il buon senso dovrebbero imporre ai governanti di fare bene i conti mettendo tutto nel bilancio, non fermandosi soltanto agli slogan pubblicitari dell’energia semplicemente pulita, senza contare gli oneri di smaltimento dei materiali invecchiati e lo scarso contributo al ripristino degli ecosistemi. Tra le energie semplicemente pulite sono comprese anche le biomasse che non recuperano il calore non producono concimi e acque alcaline. Conteggi fatti troppo in fretta sottraggono risorse all’energia che proteggerebbe realmente l’ambiente che non ha ricevuto un solo euro, dollaro, yen, yuan di finanziamento. 

Fino a oggi non è stato possibile razionalizzare la progettazione ambientale ed energetica perché nel mondo intero, non esiste la cultura e la capacità di proteggere industrialmente l’ambiente. Il sottoscritto per imparare qualcosa ha trascorso un ventennio nei sistemi industriali e un altro in quelli ambientali. Solo da pensionato ha potuto mettere insieme le due esperienze perché nessuno lo avrebbe pagato per fare questo lavoro. Oggi un normale laureato in ingegneria, forse anche in architettura, può progettare un impianto pubblico di depurazione, termico o termoelettrico, purché rispetti le normative. Non ci sarebbe nulla da eccepire, se lo stato dell’arte nella protezione dell’ambiente fosse più elevato di quello che è e le normative fossero adeguate alla protezione globale dell’ambiente. 

Per il sottoscritto, le norme dovrebbero comprendere anche il recupero del calore, dell’energia contenuta nei fanghi, l’abbattimento sostenibile del CO2, l’adeguamento delle acque di scarico all’alcalinità del corpo idrico ricevente, oltre agli altri parametri già previsti. Per adeguare tutti gli impianti a questi semplici obiettivi è necessaria una seconda rivoluzione industriale, che certamente non possiamo addossare soltanto agli studi di progettazione d’ingegneria. Come possono i progettisti migliorare questi impianti, senza partecipare alla gestione, senza fondi per la ricerca e la sperimentazione di nuove soluzioni? Devono per forza fare quello che fanno: rispettare normative insufficienti e scegliere tra i cataloghi le macchine adeguate al progetto. Fanno la stessa cosa le società di ingegneria specializzate solo in questi settori. 

Purtroppo, nei cataloghi non esistono macchine che possano prevenire la formazione di idrogeno solforato nelle fogne né l’azoto ammoniacale. Quindi, chi ha universalizzato nel mondo un sistema che non può funzionare, per vizi di origine, anche migliorando la qualità delle macchine? Anche senza fare calcoli sul ritorno degli investimenti, non è possibile tenere in vita un sistema che distrugge risorse nelle fogne per rigenerarle nei depuratori e sappiamo che non sempre ci riesce, per avversità meteorologiche ma anche per altri banali errori di progettazione. La stessa cosa è avvenuta per gli impianti termoelettrici, che avrebbero voluto cavarsela con semplici filtrazioni e ancora più semplici ciminiere. Pur di non migliorare gli impianti, si sta cercando di porre un rimedio con le nuove energie. 

E per gli altri impianti termici industriali che cosa facciamo? Acciaierie, cementifici, inceneritori, produttori di ossidi di calcio, fornaci producono lo stesso inquinamento e anche peggio. Sono progettati direttamente dalle aziende produttrici, le quali devono fare i conti con la concorrenza. Queste aziende, pur conoscendo i problemi ambientali che creano, a volte, pur potendoli risolvere, aspettano che siano le normative a imporre soluzioni. Solo in questo caso tirano fuori le loro soluzioni, se migliori, per ricavare profitto dai brevetti che non avrebbero mai anticipato. Chi deve fare il primo passo nella protezione dell’ambiente, giusto o sbagliato, è la scienza pubblica, altrimenti il meccanismo non si muove. 

Senza il primo passo non possono essere prodotte le normative e non possono essere migliorate. Ma la scienza pubblica questo meccanismo, così semplice e collaudato ancora non lo ha compreso, nonostante sia il perno intorno al quale ruota l’intero sistema. In altre parole, le normative non possono essere emesse se non avanza lo stato dell’arte e lo stato dell’arte non avanza perché le aziende industriali non investono nella ricerca di soluzioni ambientali globali. Le filtrazioni e le depurazioni parziali sono soltanto dei palliativi provvisori in attesa che si affinino i processi e le tecnologie per emettere normative più restrittive e vincolanti per tutti i paesi. L’inquinamento aereo e delle acque attraverso i venti, gli oceani, i laghi e i fiumi riguarda tutto il pianeta. Ma a duecento anni dall’avvento dell’epoca industriale, il cane continua a mordersi la coda e nessuno propone ancora soluzioni globali, che coinvolgano nel sistema protettivo aria, acqua, energia, a parte il sottoscritto, che ancora non trova interlocutori, soprattutto, nella scienza pubblica, che avrebbe dovuto essere la prima a proporre queste soluzioni per le ragioni sopra esposte. 

Che cosa aspettano? A leggere tutte insieme le proposte del sottoscritto sembrano opere di fantasia. Nella realtà sono state precedute da una ventina di brevetti mai realizzati, i quali hanno funzionato solo virtualmente e sono stati superati dalle successive invenzioni, mentre gli addetti ai lavori privati e la scienza pubblica non si sono accorti di niente. La ricerca specialistica non è tutto per avanzare nello stato dell’arte. In molti casi possono molto di più le sinergie tra settori diversi e anche un estraneo al mondo della ricerca ambientale ed energetica può rivoluzionare sistemi che vanno avanti approfondendo gli stessi problemi da un centinaio di anni senza ottenere grandi risultati. Sono molte le strozzature individuate dal sottoscritto che impediscono l’avanzamento dello stato dell’arte ambientale. Non sono difficili da eliminare ma occorrono grandi opere strutturali e molte discipline scientifiche che negli atenei si possono trovare. Alla fine, anche le industrie saranno grate, perché senza infrastrutture globali le aziende non possono adeguarsi alle normative. Occorrono sinergie tra aziende diverse e infrastrutture pubbliche per non sprecare niente. 

Per prima cosa bisogna entrare nelle fogne per prevenire la formazione dell’idrogeno solforato, separare i fanghi dalle acque e nelle ciminiere per catturare il CO2, SOx e NOx. Acqua e aria vanno depurate insieme mentre si producono biomasse energetiche anche nel sistema fognario e lungo i litorali inquinati lacustri e marini. I depuratori attuali sono migliorati tantissimo da quando nacquero un centinaio di anni fa. Peccato che siano ingombranti e posizionati lontani dai centri urbani. Non possono contribuire alla depurazione dell’aria e debbano sprecare il grosso dell’energia per rimediare ai guai combinati dal sistema fognario. Per depurare insieme aria e acqua nelle città occorre un sistema meno ingombrante, sviluppato in verticale, collegato alle ciminiere, e completo di mini serre calcaree che separa l’acqua dai fanghi, ossida le acque consumando il CO2, produce carbonati. Il resto del trattamento sarà effettuato nelle unità centrali GSP (Global synergy protection) Ma quanto e costato all’intero pianeta l’attuale sistema universalizzato da un secolo, e da almeno mezzo secolo sappiamo che non è compatibile con la depurazione globale, il recupero delle risorse energetiche e del CO2

IL silenzio della scienza pubblica su GSP non aiuta l’avanzamento dello stato dell’arte nella protezione dell’ambiente che non avanza nemmeno nel settore privato. Fino ad ora non è stato possibile consentire ai legislatori di imporre regole generali sul recupero del CO2 e del calore sprecato. Nei convegni ufficiali non si parla di depurazione globale. Nelle discussioni private e forums tecnici di provata esperienza, per interessi di parte, mettono sullo stesso piano l’energia che inquina, quella che non inquina e quella che addirittura proteggerebbe l’ambiente producendo concimi naturali per combattere la desertificazione e acque alcaline per contrastare l’acidificazione dei laghi e dei mari. Le prime due energie esistono, e godono di finanziamenti pubblici. La terza non esiste perché nessun ente pubblico vi ha investito un solo centesimo di euro. Questo succede perché senza normative imposte dal legislatore nessuno realizzerà mai le fogne depurative e le ciminiere che recuperano il CO2 e il calore, che sono le cose più urgenti e semplici. I fabbricati serra e i grandi digestori sono un sogno ancora più lontano. Nel frattempo gli impianti pubblici distruggono risorse, gli impianti privati ne disperdono altre di cui ritengono antieconomico il recupero.

Le università non fanno quasi nulla per rubare all’industria le esperienze più importanti per applicarle all’ambiente e ai recuperi energetici. Oggi si parla molto di recuperi energetici nelle reti, nei fabbricati, nei rendimenti delle singole apparecchiature ma non si vuole entrare nella logica dei rendimenti globali, che attraverso le sinergie e il collegamento degli impianti sommerebbero rendimenti termici, chimici, biologici, elettrici, superando il 100% dell’energia spesa, grazie al recupero di energie disperse da altri impianti o dalla stessa natura. Anche con soluzioni non perfette il meccanismo può iniziare a funzionare e si può mettere il legislatore in condizione di proteggere meglio l’ambiente. In materia ambientale, fatta la legge, non si trova l’inganno ma si mette in modo un meccanismo positivo per trovare soluzioni ancora migliori e ridurre i costi. Per proteggere l’ambiente non basta realizzare più impianti uguali a quelli attuali che sono incompleti nelle prestazioni e tali resteranno anche moltiplicandoli per cento. 

E’ l’intero sistema che va cambiato per riportare lo stato dell’ambiente e delle acque allo stato in cui era prima dell’avvento dell’epoca industriale. Saranno gli stessi sistemi industriali a consentire l’inversione di rotta, se si utilizzeranno in favore dell’ambiente.
Queste semplici riflessioni del sottoscritto sono nate dopo un ventennio di esperienze nel settore impiantistico ambientale, che si concluse nel 2006, con l’arrivo della pensione, senza aver visto in quel periodo significativi passi avanti nella protezione dell’ambiente. Siamo nel 2014 e nulla è cambiato. L’ambiente è fermo mentre gli altri settori corrono e partecipano all’inquinamento. Molto più proficuo, dal punto di vista professionale, fu il ventennio precedente, trascorso nell’industria automobilistica, dove le novità, scientifiche e industriali (non ambientali), si poteva dire, che fossero all’ordine del giorno e tuttora lo sono. Si riesce a produrre migliaia di auto al giorno con le tecnologie più sofisticate e diverse tra loro. 

Il segreto non è solo nella progettazione ma nei collegamenti tra le varie sezioni e nella gestione quotidiana dei problemi cui partecipano tutti gli addetti ai lavori. I progettisti delle linee di produzione e degli impianti non abbandonano l’azienda, dopo la realizzazione della fabbrica ma restano per migliorarla insieme alla quantità e alla qualità della produzione. La stessa cosa avviene per altri stabilimenti industriali produttori di beni di consumo meccanici chimici, alimentari. Nel settore privato, se i tecnici si fermano, sono immediatamente superati dalla concorrenza. Nel settore pubblico nessuno si accorge che sono fermi da decenni. Le attuali gestioni private, senza apporto di capitali e idee, non innovano il sistema. 

 Quando il sottoscritto, per libera scelta (per il desiderio di conoscere da vicino i problemi ambientali), passò dai robot di saldatura, di verniciatura, magazzini automatizzati, macchine a controllo numerico a trasferta e rotative, al settore ambientale, fu come un ritorno al passato, non di decenni ma di qualche secolo. Non per le tecnologie impiegate ma per l’organizzazione del lavoro, che, per l’ambiente, deve essere vista in una dimensione diversa rispetto alle altre attività umane. Un depuratore, una centrale termica, un inceneritore, un digestore, un’acciaieria, un cementificio, non possono essere considerati impianti singoli, ma reparti di un impianto più grande che li contiene tutti, smistando i gas verso le serre calcaree, il calore verso i digestori, le acque inquinate verso gli stagni biologici sovrapposti le acque da inviare ai mari verso i bacini delle acque da alcalinizzare, sottoposti alle serre calcaree. 

 Quello che manca nella protezione dell’ambiente e dell’energia è proprio l’organizzazione industriale delle attività distribuite a caso sul territorio. Senza seguire un processo globale di protezione dell’ambiente. Quello che succede nelle fogne non riguarda i depuratori delle acque, e la depurazione si concentra solo su alcuni parametri, mentre la depurazione dell’aria si può dire che non esista. Se le università si impegnassero di più sul fronte ambientale, che è anche più pertinente al settore pubblico, anziché spalleggiare o gareggiare con l’industria con brevetti di dettaglio, o per lo meno parallelamente, oltre a risolvere molti problemi ambientali, aiuterebbero i legislatori a emettere normative di protezione ambientali al passo con i tempi. Ma potrebbero trovare immense fonti di finanziamenti attraverso lo sviluppo di nuovi brevetti ugualmente industriali ma applicati all’ambiente. 

L’industrializzazione della protezione dell’ambiente e dell’energia biologica apre un nuovo fronte che produrrà più lavoro dell’industria manifatturiera, riguardando anche la produzione alimentare in serre completamente automatizzate e verticalizzate grazie ai sistemi sviluppati nelle industrie. Ci saranno immense reti di unità periferiche da collegate agli impianti centrali che non avrà nulla di meno rispetto ai grandi stabilimenti industriali e produrranno altrettanto lavoro senza sprecare nulla. 

Oggi le forze intellettive impiegate per produrre auto sono centinaia di volte superiori a quelle impiegate per proteggere l’ambiente. I brevetti sviluppati sul prodotto auto e componenti sono mille volte superiori a quelli sviluppati per proteggere l’ambiente. Lo stesso si può dire per le tecnologie coinvolte. Una fabbrica automobilistica, non può progettarla un qualsiasi studio di ingegneria ma la direzione generale dell’azienda che coinvolge le direzioni di sezioni, affinché l’intero know How venga riprodotto, senza disperdere nulla, in un’altra parte del mondo. Dove in pochi mesi si potranno produrre centinaia di macchine al giorno. Lo stesso vale per frigoriferi lavatrici e televisori. Chi non ha vissuto entrambe le esperienze non può vedere affinità tra l’industria e l’ambiente sul piano dell’organizzazione del lavoro perché la protezione dell’ambiente, nonostante i grandi impianti è restata allo stato artigianale. Anzi, i grandi impianti, realizzati senza tener conto delle capacità di assorbimento sostenibile dell’inquinamento sono il più grosso impedimento alla razionalizzazione del sistema. 

Il divario esistente tra l’industria tradizionale che non si occupa di ambiente e il settore ambientale che non si occupa d’industria deve essere colmato con un massiccio trasporto dei sistemi industriali nel settore ambientale, con gli opportuni adattamenti al territorio e alla gestione delle acque superficiali e piovane. L’industrializzazione della protezione dell’ambiente è ostacolata dal silenzio di coloro che potrebbero trarne il massimo beneficio. Mi riferisco in modo particolare alle facoltà universitarie scientifiche, che oggi sono ben distribuite su tutti i territori. Le università devono ragionare in modo collegiale come le aziende automobilistiche, aprendosi alle sinergie con i sistemi industriali. Devono essere loro a rubare le esperienze industriali che hanno fatto la differenza consentendo l’aumento della produttività e portandole nelle applicazioni ambientali. Non possono aspettarsi che le industrie trasferiscano spontaneamente il loro Know How nei sistemi depurativi, essendo concentrati solo sulla produzione commerciale. Non possono aspettarsi che lo facciano nemmeno gli attuali progettisti di sistemi depurativi ed e energetici che considerano i settori completamente separati per limiti imposti dalla formazione culturale che le stesse università producono, ma anche limiti imposti dal sistema economico concentrato sul prodotto commerciale non multi disciplinare; come può essere considerato il pannello solare, la pala eolica, l’acqua depurata separata dall’alcalinità, i fumi depurati separati dal CO2; l’energia biologica separata dal trattamento del digestato liquido, compostaggio e disidratazione di quello solido; l’energia fossile separata dal recupero del calore e dal recupero sostenibile del CO2. Quando ci si concentra su un prodotto non multidisciplinare anche un’attività artigianale industrializzata può fare grandi fatturati. 

Ma bisogna chiedersi quando può durare il monopolio? Quando invece ci si concentra su un prodotto multidisciplinare come l’auto occorrono grandi sinergie e grandi investimenti e grandi alleanze. La Fiat se non si fosse alleata con la Chrysler non avrebbe potuto competere sul piano internazionale con gli altri colossi industriali. I piccoli produttori di auto sono già stati spazzati via dal mercato o assorbiti dai grandi gruppi. Le grandi aziende industriali dei beni di consumo come quelle delle auto e gli elettrodomestici sono le più ambite dai governi: creano molto lavoro, non sono molto inquinanti e non hanno bisogno di grandi infrastrutture pubbliche per essere compatibili con l’ambiente. Purtroppo queste aziende, con l’economia globale, vanno dove vogliono e stanno abbandonando paesi come l’Italia.   

Altre attività creano maggiori problemi ambientali e richiedono che i governi diventino i primi imprenditori se vogliono attirare anche investimenti privati: energia, agricoltura, zootecnia, chimica, acciaierie, cemento, calcio, laterizi, alimentazione, artigianato. Questi settori possono crescere soltanto se cresce il livello tecnologico e industriale della protezione dell’ambiente. Le aziende private non possono addebitarsi tutti gli oneri depurativi. Pensiamo all’inquinamento prodotto da concimi chimici e pesticidi nelle acque di scolo. Anche volendo è difficile intercettare queste acque senza grandi opere strutturali. Deve intervenire lo stato imprenditore. Pensiamo alla grande quantità di calore disperso dagli impianti termici industriali ed energetici che non è mai separato da altre sostanze inquinanti. 

Il recupero del calore ai fini energetici potrebbe rendere sostenibile anche la depurazione dei fumi se l’azienda sapesse come utilizzare quel calore. Anche in questo caso deve intervenire lo stato imprenditore che deve recuperare quel calore e il CO2 in esso contenuto per metterlo a disposizione di altre aziende in grado di utilizzarli per altre produzioni. L’alternativa è quella attuale. Fuga di aziende, di capitali e di cervelli dal paese. In verità, questi concetti sconosciuti dovevano essere messi in atto da molto tempo se i governi avessero creato una progettazione pubblica efficiente in grado di progettare opere strutturali che affianchino le attività industriali agricole urbane dal punto di vista della lotta all’inquinamento e il recupero delle risorse. A che servono consorzi di bonifica, comunità montane, ARPA; AATO, aziende municipalizzate, con scarse o nulle capacità di progettazioni? Rinforziamo le strutture universitarie, dove i cervelli ci sono e si possono anche coltivare. Facendoli crescere progettando opere multidisciplinari di pubblica utilità diverse da quelle attuali. Serve a poco creare corsi di laurea in ingegneria ambientale se i depuratori e le centrali termoelettriche, digestori, compostatori, inceneritori si continuano a realizzare sempre allo stesso modo, posizionati a caso, sul territorio. Questo significa che anche i professori che insegnano le materie ambientali non dialogano tra di loro, altrimenti si sarebbero accorti che il sistema non funziona, come se ne è accorto il sottoscritto dai cantieri. 

Nella depurazione globale aria, acque, calore, gas, vanno trattate insieme, quindi depuratori, impianti termici, termoelettrici, industriali, urbani  vanno collegati con linee dedicate separate all’unità centrale GSP (global synergy plant), dalla quale usciranno i prodotti finiti: energia, concimi, biometano, acque alcaline, biomasse alimentari. Il GSP nasce intorno o nelle vicinanze di un impianto termico esistente che inquina, portandovi le acque necessarie e creando le infrastrutture necessarie per farlo funzionare. 

Cambiare i sistemi depurativi ed energetici in un unico sistema globale per le università che lo comprenderanno prima degli altri può diventare la più importante fonte di finanziamento, attraverso  lo sviluppo dei brevetti. Attualmente, le aziende che lavorano nella protezione dell’ambiente sono concentrate soprattutto nella produzione di macchine di trattamento che non servono nei sistemi globali. Infatti, il sistema depurativo attuale si basa su alti carichi organici e bassi carichi idraulici. Non può essere utilizzato per depurare anche i fumi, nemmeno per le grandi portate che comporta l’inquinamento agricolo e nemmeno per rendere alcaline le acque che passeranno attraverso le centrali termiche. 

Oggi gli imprenditori dell’ambiente e dell’energia forniscono quello che loro stessi hanno progettato mentre la progettazione pubblica li ha lasciati fare. Ci ritroviamo con macchine e impianti che non servono perché svolgono funzioni molto parziali e non possono completare i cicli depurativi delle acque dei fumi in favore dell’ambiente, producendo insieme energia pulita, concimi naturali e acque alcaline. Nessuna multinazionale abbraccia tutti i settori che entrano nel sistema globale di protezione dell’ambiente e nessuna è ramificata sui territori per individuare le possibili sinergie naturali e industriali. Le applicazioni da sviluppare sono tantissime e i giovani laureati potranno trovare direttamente il lavoro nelle stesse università o nelle attività indotte. E’ un nuovo modo di proteggere l’ambiente che anticipa la crescita della popolazione mondiale senza precedenti che avverrà a breve termine. Mettono insieme in un solo progetto le diverse tecnologie che si stanno sviluppando nel mondo, non ingabbiandole, ma concedendo loro di crescere meglio. Consentono alle aziende di sfruttare, a costo zero, energie termiche, nutrienti messi a disposizione da altre aziende che risparmiano sui costi di raffreddamento e di depurazione. Servono opere di presa delle acque lungo i fiumi laghi e mari, o grandi bacini per le acque piovane posizionati dove si produce energia e si depurano le acque con stagni biologici sovrapposti, per depurare grandi portate di acque da pesticidi, nitrati e metalli pesanti mentre raffreddano anche le centrali termoelettriche, laminatoi e impianti industriali. Non ci servono bacini di acque in montagna che possono causare alluvioni, eutrofizzazioni, e non servono alle depurazioni, ai raffreddamenti e alla lotta all’acidificazione. 

Servono grandi fabbricati serra sviluppati in verticale, nuovi sistemi di produzione di biomasse. Nuovi sistemi di lavorazione meccaniche dei terreni riportati al coperto per le colture energetiche e alimentari. Servono automazioni industriali, trattamento aria, convogliatori aerei monorotaia, birotaia, automotori, Trasloelevatori, trasporti pneumatici, silos, tramogge coclee, trituratori, elettropompe, ventilatori, digestori, compostatori, gasometri, reti di distribuzione dei fanghi, gas, CO2

 I problemi depurativi delle acque dell’aria e dell’energia non sono tecnologici ma, soprattutto di organizzazione del lavoro perché oggi non si fanno le cose giuste, al posto giusto, al momento giusto, nel modo giusto, sfruttando tutte le tecnologie a disposizione, integrando i cicli antropici dell’uomo con quelli della natura. Non esistono cicli di lavorazione organizzati degli elementi in entrata negli impianti: aria e acque inquinate, additivi chimici o naturali; biomasse acquatiche o terrestri. E non esistono collegamenti tra i vari reparti che potrebbero concorrere a realizzare un solo stabilimento produttivo di depurazione e di energia (GSP = Global Sinergy Plant). 

Come scritto, i reparti della fabbrica protettiva dell’ambiente GSP, non sono altro che le attuali Centrali termiche, Depuratori, digestori compostatori, inceneritori, acciaierie, cementifici, insediamenti urbani. I quali, oggi, sono posizionati sul territorio in base a piani regolatori, che tengono conto soltanto di alcuni aspetti logistici e depurativi ma sono posizionati a caso per quanto riguarda la gestione delle risorse energetiche e protettive dell’ambiente (calore, CO2 acque superficiali) I GSP saranno molto simili agli stabilimenti industriali, pur con alcuni reparti distanti alcuni chilometri. Ma ogni collegamento avrà una propria linea dedicata. L’acqua, il CO2 catturato dalle ciminiere CCPC e i fanghi separati alla fonte da moduli depurativi verticali PVUM (purifying vertical urbans module), senza essere mischiati, giungeranno al GSP più vicino che concretizzerà il lavoro anche delle sezioni periferiche producendo energia pulita, concimi naturali acque alcaline. 

La tutela dell'ambiente dipende soprattutto dal coordinamento di varie attività, energetiche depurative, alimentari, industriali Il coordinamento per essere credibile lo devono fare autorità scientifiche al di sopra degli interessi di parte, che conoscono il territorio nel quale operano In Italia e nel mondo, quando bisogna realizzare un'opera ambientale di qualsiasi genere, coinvolgono le università locali, almeno per delle consulenze, parziali, come ricerche geologiche, calcoli strutturali, idraulici di particolari complessità, impatti ambientali e via di seguito. L’energia biologica che si sta sviluppando in Europa, bruciando biomasse, trasformando i contadini in produttori di energia, producendo biocombustibili, contrariamente a quanto si possa pensare, ha scarsi legami con il territorio perché non recupera il calore disperso dagli attuali impianti termici e non coglie l’occasione per utilizzare il CO2 in favore dell’ambiente, mediante l’aggiunta di calcio, possibilmente sottratto a freddo al materiale calcareo immagazzinato (sistema descritto in altre pubblicazioni). 

Le Università sono fuori dagli attuali sistemi depurativi ed energetici, eppure sono colpevoli, come le altre strutture pubbliche, per i danni ambientali e il mancato avanzamento dello stato dell’arte. Le consulenze marginali che concedono, molte volte, a titolo personale, singoli professori, non hanno aiutato l’ambiente. Sarebbe molto diverso il loro contributo se avessero fornito consulenze collegiali basate sui sistemi globali, depurativi ed energetici. Le università, essendo strutture pubbliche hanno una linea preferenziale con i legislatori e data la grande presenza e distribuzione sul territorio, i gemellaggi con università europee e mondiali, potranno diffondere il sistema a macchia d’olio nel mondo. Non devono sostituire gli attuali progettisti ma produrre studi preliminari di fattibilità ed eventuali brevetti che sostituiscono macchine depurative che non servono per consentire ai legislatori di imporre sistemi di protezione ambientali più efficienti. 

La scienza pubblica, non essendo produttrice di macchine, né di biomasse, né di petrolio, né di pannelli solari, pale eoliche, né di qualsiasi altra forma di energia può scegliere le soluzioni migliori nell’interesse dell’ambiente, inserendole nelle opere strutturali globali. Come ha cercato di anticipare il sottoscritto, nella sua modesta attività di inventore, ugualmente sopra le parti. Come le università, interessato soltanto al riconoscimento del proprio lavoro. Gli stati devono finanziare le opere strutturali che proteggono l’ambiente da qualsiasi tipo di inquinamento industriale o energetico e recuperare le risorse che oggi si sprecano proprio per l’assenza di queste opere. 

Devono anche finanziare la ricerca di nuove energie, ma non la produzione fino a quando non saranno competitive. I produttori di energia che riusciranno a recuperare queste risorse, produrranno energia con minori costi ma anche concimi naturali e acque alcaline, sostituendo vantaggiosamente gli attuali depuratori. Di fronte a queste importanti innovazioni che il. mondo, a parole, auspica ma accoglie con inspiegabili silenzi, la scienza pubblica non può tacere. Deve prendere una posizione e schierarsi. Addirittura subentrare nella gestione e nella diffusione di questi progetti. I cittadini del mondo e chi ha lavorato per anni su questi progetti hanno il diritto di sapere da che parte stanno gli scienziati, almeno quelli che sono nelle università pubbliche. 

Nulla autorizza il sottoscritto a fare questi voli pindarici sul ruolo delle Università nella protezione ambientale futura ma chi tace può anche acconsentire. I depositi di brevetto internazionali del sottoscritto sui quali si basa il sistema GSP (global sinergy plants), se vogliono, sono a disposizione come punto di partenza. Le nuove norme sulla tutela della proprietà intellettuale WIPO (world Intellectual Property Organization) concedono ai partner pubblici o privati che troverà il sottoscritto di scegliere i paesi nei quali estendere questi depositi brevetti (che hanno già rapporti di ricerca positivi dell’ufficio brevetti europeo) entro il maggio 2015. Il resto del lavoro lo devono fare loro.

 La protezione globale dell’ambiente è un terreno vergine, non ancora esplorato dalle aziende private. Le quali hanno proposto e propongono soluzioni commerciali, non solo per un rapido rientro del capitale ma anche perché non hanno voluto complicarsi la vita studiando soluzioni che richiedono l’accesso alle fonti energetiche, idriche, disponibili sul territorio. La scienza pubblica non può continuare a rinunciare a questo vantaggio di posizione. Deve rubare le esperienze industriali che ancora non le appartengono e procedere all’industrializzazione della protezione dell’ambiente, che è di sua pertinenza, rendendo applicabili normative ambientali che renderanno più sostenibile anche l’industria. Da queste scelte si vede se un paese vuole veramente crescere. Il resto sono chiacchiere alle quali non crede più nessuno
Cordiali saluti
Luigi Antonio Pezone


1 commento:

  1. Questo articolo lo dedico ai nostri giovani affinché imparino a progettare la società industriale del futuro. Purtroppo non potrà non essere una società industriale. Ma come dimostro in questo articolo l'industria può essere messa al servizio dell'ambiente. Quella che conosciamo oggi è l'industria del profitto che si è fermata all'ingresso delle ciminiere e delle fognature senza depurare l'ambiente e senza creare lavoro.

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