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lunedì 9 gennaio 2017

Risparmio, riciclo, riutilizzo: tre vie verso l’economia circolare


Superata l’era del consumismo selvaggio e senza scrupoli, siamo entrati in un momento storico in cui l’uomo sta realizzando quale dura realtà lui stesso ha creato, che il nostro pianeta ci mette davanti agli occhi ogni giorno. 

Squilibri climatici, innalzamento delle acque, aria irrespirabile: sono solo alcuni dei segnali di allarme che la Terra ci invia ogni giorno, riuscendo negli ultimi tempi, finalmente, a smuovere anche i più scettici. 

In questa era post-consumistica, è lo stesso concetto di consumo che sta subendo i cambiamenti più incisivi: se prima la logica dell’usa e getta era quella imperante, adesso si cerca di andare alle origini stesse del prodotto, ponendosi il problema dello smaltimento fin dalla sua progettazione. 

È un nuovo modo di intendere l’intera catena della produzione, che prende il nome di “economia circolare”.

Il concetto di economia circolare si basa essenzialmente su tre pilastri: generale riduzione dei consumi; riciclo; riutilizzo. 


Il principio che sta alla base è che, come un cerchio, il consumo deve poter generare non uno scarto inutile, bensì un risultato che possa essere a sua volta rielaborato e possa rientrare nel circolo della produzione e del consumo, senza che vi siano inutili sprechi e scarti. 

Si tratta di un approccio abbastanza recente, nonostante l’idea fosse già stata accarezzata a livello globale fin dagli anni ’70 del secolo scorso. 

Non si tratta senz’altro di un processo facile: la circolarità deve entrare nella progettazione stessa del prodotto, che deve tenere conto del fine vita, pur mantenendo le caratteristiche di usabilità e funzionalità del prodotto stesso.

I benefici dell’economia circolare appaiono indubbi: una ricerca congiunta di Ellen McArthur Foundation e McKinsey for Business and Environment (1) sostiene che l’economia circolare può portare a un incremento di sette punti percentuali del PIL europeo nel giro di quindici anni, con una crescita della produttività del 3 per cento annuo e benefici totali all'economia del Vecchio Continente per 1,8 miliardi di euro.

Non stupisce, allora, che l’Unione Europea abbia già colto l’importanza di questo nuovo approccio, dando vita a un’agenda dell’economia circolare in Europa attraverso la proposta di revisione di cinque diverse direttive, che attengono a rifiuti, rifiuti da imballaggio, discariche, rifiuti elettronici e batterie, uso di fertilizzanti biologici. 


Un piano d’azione concreto, che prevede nuovi obiettivi di riduzione degli sprechi e di riutilizzo dei materiali recuperabili, che alza l’asticella portando al 65% il riciclo dei rifiuti urbani, per esempio, e al 75% i rifiuti da imballaggio. 

In questo, l’Italia è all’avanguardia, ma dimostra di non esserne consapevole: con cinque anni di anticipo, nove regioni italiane hanno già raggiunto gli obiettivi prefissati dalla Comunità Europea per il 2020 (2). 

Quello che molti studi certificano è che agli italiani manca “l’autostima green”, e che ciò accade per la mancanza di serie e integrate politiche di comunicazione istituzionale e di sensibilizzazione nei confronti di questi temi.

Se il concetto di riciclo è abbastanza assodato sia in Italia sia in Europa, meno frequente e utilizzato appare quello di riutilizzo: prodotti finiti che rimangono tali, ma che vengono impiegati per nuovi scopi. 


Particolarmente virtuosa in questo senso è l’azienda di abbigliamento svedese H&M, che in tutti i propri punti vendita propone dal 2013 un servizio di ritiro di abiti dismessi che porta il suggerente slogan di “La moda non merita di finire nei rifiuti”. 

Vengono ritirati abiti di qualsiasi marca e in qualsiasi stato di usura, ma anche prodotti tessili domestici rovinati e non più utilizzabili. 

Il cliente è incentivato al riutilizzo: per ogni sacchetto di abiti usati riceve infatti un buono sconto da spendere presso i punti vendita della catena, che inoltre, per ogni kilogrammo di vestiti recuperati, dona 0,02 euro all’organizzazione locale del progetto Charity Star (a Save the Children nel caso dell’Italia). 

In questi tre anni, H&M nel mondo ha raccolto 32 mila tonnellate di vestiti, pari al tessuto contenuto in 100 milioni di t-shirt.

Oltre al riciclo e al riutilizzo, l’altra via che porta all’economia circolare è la riduzione dei consumi, intesa anche come riduzione delle risorse necessarie alla produzione e, quindi, riduzione delle materie prime impiegate. 


È la via che noi di Asia Pulp & Paper abbiamo scelto nel nostro cammino consapevole verso la sostenibilità ambientale. 

Alla fine di novembre 2016, il Gruppo Asia Pulp & Paper (APP) ha ricevuto dall’Indonesia la licenza FLEGT (Forest Law Enforcement Governance and Trade) per alcune cartiere, tra cui la Pindo Deli e Paper Mills

La licenza FLEGT renderà possibile un aumento del commercio tra Indonesia e Unione Europea, in quanto certifica la provenienza legale e conforme alla normativa sul legno della UE, l’EUTR. APP è la prima azienda produttrice di carta e polpa di cellulosa ad ottenere la licenza FLEGT. 

Si tratta di una prova concreta di quanto l’Indonesia sia attiva nel contrasto al commercio illegale di legname: una risorsa preziosissima, ma che richiede particolari cautele.

APP va anche oltre, con la produzione di Extra Print, la carta legno-free. 


È una carta di lusso per stampe offset realizzata con un’uniformità di qualità elevata. Consente un’eccellente riproduzione delle immagini e un bianco extra, oltre a immagini a colori nitide. 

La sua struttura ottimizzata migliora la compatibilità con le stampanti di nuova generazione, con risultati di esecuzione eccellenti. 

La tecnologia avanzata adottata nella realizzazione di Extra Print garantisce un veloce assorbimento dell'inchiostro, con un aumento del volume di stampa unitamente a una significativa riduzione dei tempi. 

Un esempio di come il design di prodotto può portare alla realizzazione di soluzioni innovative quanto a sostenibilità, pur mantenendo caratteristiche di qualità ed eccellenza del prodotto stesso.

È evidente che i margini di miglioramento quando si parla di economia circolare sono notevolissimi. 


Soprattutto per un Paese come l’Italia: il recente studio ‘Disoccupazione e economia circolare in Europa: le opportunità in Italia, Polonia e Germania’ di Green Alliance (3) dimostra come una vera trasformazione delle economie nazionali in senso circolare possa portare una soluzione concreta ai problemi più annosi dell’Italia. 

Facendo leva sulla bio-economia e sulla trasformazione dell’industria di processo in settori quali l’industria alimentare e delle bevande, quella chimica, la farmaceutica, i prodotti confezionati di largo consumo e l’industria biotecnologica, l’Italia potrebbe cogliere grandi opportunità: è stato calcolato che una vera trasformazione porterebbe alla creazione di 521.000 nuovi posti di lavoro, rispetto ai 220.000 del tasso di sviluppo attuale e ai 35.000 corrispondenti a uno scenario senza nuove iniziative nel settore. 

Il maggior beneficio occupazionale sarebbe la riduzione delle disparità regionali, con una diminuzione del tasso di disoccupazione soprattutto nel Sud Italia e un risparmio di ben 1,69 miliardi di euro in sussidi di disoccupazione.

C’è ancora molto da fare per rendere l’economia circolare una realtà concreta di tutti i giorni, e non solo un obiettivo virtuoso da raggiungere. Si tratta di una rivoluzione che deve partire dal basso, dalla popolazione, dalla gente comune. 


Dal lato delle aziende, invece, un grande passo lo segnerà il recepimento in tutti gli stati membri della direttiva 95/2014 dell’Unione Europea, che introdurrà l’obbligatorietà del bilancio di sostenibilità. 

Diventerà un obbligo a decorrere dal 2017 per tutte le imprese con un minimo di 500 dipendenti e per gli enti di interesse pubblico dare conto di da dove vengono i prodotti che offrono sul mercato, quali sono le loro politiche ambientali e nei confronti degli animali, come si rapportano ai loro dipendenti e alla comunità in cui operano. 

Si stima che in Italia saranno circa 250 le aziende coinvolte in questo obbligo, che rappresenta un primo passo verso la condivisione di una vera cultura della sostenibilità nel Paese.

D’altronde, il 2017 sarà a tutti gli effetti un anno “green”: Pantone, infatti, ha decretato colore del prossimo anno Greenery, un verde che incontra il colore giallo ed evoca vitalità, pace, serenità e ritorno alla natura. 


Tutti valori che si legano indissolubilmente alla sostenibilità ambientale e che speriamo possano davvero guidare questo nuovo anno appena cominciato.

Liz Wilks, Stakeholder e Sustainability Manager Europa - Asia Pulp & Paper

(1) Growth Within: a circular economy vision for a competitive Europe, sponsored by SUN (Stiftungsfonds für Umweltökonomie und Nachhaltigkeit) in collaboration with the Ellen MacArthur Foundation and the McKinsey Center for Business and Environment: https://www.ellenmacarthurfoundation.org/publications/growth-within-a-circular-economy-vision-for-a-competitive-europe
(2) VI Rapporto Banca Dati Anci-Conai: http://www.anci.it/Contenuti/Allegati/VIRapportoBancaDati_def.pdf
(3) http://www.green-alliance.org.uk/resources/Disoccupazione_e_economia_circolare_in_Europa.pdf


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