Una
ricerca Ibimet-Cnr ha sviluppato un
calcolo per prevedere la producibilità degli impianti
eolici, partendo da più semplici misure di superficie
ed evitando così alti costi nella progettazione e
nella localizzazione dei siti più idonei. Perché il
vento non è solo un elemento atmosferico dannoso, ma
anche una grande risorsa energetica. La ricerca è
pubblicata su Renewable Energy
Il vento non
è solo un elemento meteorologico di disturbo, qualche
volta molto dannoso, come è accaduto nei giorni scorsi. È
anche una risorsa energetica importante. Ma per sfruttarlo
serve un attento calcolo delle sue potenzialità per
definire precisamente localizzazione e struttura degli
impianti eolici. Un importante contributo in tal senso
arriva adesso da Giovanni Gualtieri dell’Istituto di
biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche
(Ibimet-Cnr) di Firenze, con lo studio ‘Surface turbulence
intensity as a predictor of extrapolated wind resource to
the turbine hub height’ pubblicato su Renewable Energy.
“L’intensità
di turbolenza (I) di un sito è data dal rapporto tra la
deviazione standard della velocità del vento (su)
e il valore medio della velocità del vento (v), cioè dalla
misura di quanto il valore istantaneo di v si discosti da
quello medio”, spiega Gualtieri. “In campo eolico è un
parametro fortemente critico, in quanto al suo aumentare
crescono anche: i carichi sulle turbine, che ne riducono
il ciclo di vita, le perdite dell’energia prodotta e
l’incertezza nella stima della produttività. Non a caso,
tra i requisiti costruttivi cui le turbine in commercio
devono ottemperare secondo le norme europee, uno dei più
importanti è proprio la resistenza all’intensità di
turbolenza del sito a cui sono destinate”.
Con la
ricerca dell’Ibimet-Cnr questo parametro – per la prima
volta in campo eolico – è stato invece trattato come un
fattore ‘positivo’. “Processando due anni di dati
(2012–2013) della torre anemometrica di Cabauw (Olanda) ad
altezze comprese tra 10 e 80 m, I è risultata fortemente
correlata all’esponente del ‘wind shear’, cioè al profilo
verticale della velocità del vento”, prosegue il
ricercatore. “C’è da considerare che, mentre il ‘wind
shear’ richiede misure fino ad altezze anche superiori ad
80-100 metri, l’intensità di turbolenza è un dato di
superficie per il quale sono sufficienti misure a 10-20 m.
In sostanza, il risultato del nostro lavoro consiste nel
prevedere l’andamento a quote difficilmente raggiungibili
con strumentazione dai costi contenuti a partire da
semplici misure a terra: un vantaggio evidente, in fase di
progettazione di un impianto eolico”.
Il metodo
proposto ha fornito buoni risultati nel calcolo sia della
velocità del vento (v) sia della densità di potenza (P).
“Applicato tra i 10 e gli 80 m, il metodo ha rivelato
errori compresi tra il 4 e 7% per v, e tra il 3 e l’8% per
P”, conclude Gualtieri. “Su una gamma di 15 aerogeneratori
tra quelli disponibili in commercio con altezze del mozzo
dell’ordine di 40 m, ha fornito un errore nella stima
della producibilità energetica tra il 4.1 e il 6.2%. Su un
set più ampio di 40 turbine con altezze del mozzo a 80 m,
l’errore è risultato compreso tra il 6.2 e il 14.5%. Si
tratta di risultati di grande interesse a livello
applicativo, progettuale ed industriale”.
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