Un problema che è noto alle autorità tedesche e che però non è entrato a far parte del dibattito ambientalista a livello europeo, ma che potrebbe avere potenziali effetti su tutti i consumatori UE, riguarda la presenza di migliaia di bombe al fosforo e chimiche presenti sui fondali a ridosso spiagge del Mar Baltico, ma anche del Mare del Nord.
Significativo in tal senso, è uno degli episodi della Seconda Guerra Mondiale: nel 1943, in particolare la notte del 17 agosto, 596 bombardieri della Royal Air Force (RAF) sganciarono 4.000 bombe al fosforo per distruggere gli impianti di Peenemunde dove Wernher von Braun stava costruendo i suoi famosi e micidiali razzi V2 che terrorizzavano la popolazione di Londra. Circa il 40% delle bombe cadde nel mare, a est di Peenemünde.
70 anni dopo i bombardamenti, le bombe sono ancora attive. A causa della corrosione, infatti, il fosforo ha cominciato ad emergere, e quando la corrente è favorevole a causa delle frequenti tempeste, risale sotto forma di pietre gialle e va a depositarsi sulla spiaggia. Un pericolo per centinaia di collezionisti d'ambra che camminano tra Peenemünde e Zinnowitz. Se, invero, i pezzi fosforo vengono riscaldati ad una temperatura di 20 gradi, si accendono spontaneamente e possono raggiungere temperature di 1300 gradi Celsius.
Ma non è solo nella località balneare di Usedom che si concentra il problema. Secondo gli esperti è tutto il Mar Baltico ad essere diventato, nel corso della storia ed in particolare della Seconda Guerra Mondiale, una bomba a orologeria poiché sono depositati sui suoi fondali, secondo alcuni calcoli, più di 100.000 tonnellate di armi chimiche e 2.000,000 tonnellate di munizioni convenzionali.
Ed il pericolo è in agguato: la corrosione può permettere al materiale chimico di raggiunge la catena alimentare.
In un recente rapporto, l'organizzazione tedesca "Munition im Meer" ha lanciato l'allarme per avvertire del pericolo che si trova sul fondo del Mar Baltico e del Mare del Nord, anche a causa di una decisione non convenzionale da parte dei vincitori alleati. Poco dopo la fine della guerra, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica decisero che il resto dell'armamento tedesco doveva restare inutilizzato e sepolto per sempre nel Baltico e in vaste aree del Mare del Nord.
Per esempio, è emerso che già nel settembre 1949, l'amministrazione britannica aveva ordinato ai tedeschi, il lancio nelle acque del Mare del Nord, a circa 4 km da l'isola di Helgoland, di 6000 proiettili di artiglieria riempiti con 11,7 tonnellate di gas nervino Tabun. Nonostante l'evidenza, l'area fu utilizzata dalla marina tedesca per esercitare siluro.
Gli esperti stimano che nelle acque territoriali tedesche ci sono almeno circa 1,6 milioni di tonnellate di armi chimiche e bombe inesplose convenzionali che il tempo ha arrugginito e che riposano sul fondo del mare, costituendo un pericolo per l'ambiente, l'industria della pesca e quindi anche per i consumatori. Jens Sternheim, presidente del gruppo di esperti "Munition im Meer" ha rivelato che "E 'stato riscontrato che il materiale tossico ha raggiunto la catena alimentare". "C'è un pericolo latente e purtroppo conosciamo solo una piccola parte delle aree contaminate".
Gli esperti hanno, inoltre, sottolineato come le autorità appaiano essere poco interessati ad avviare una bonifica costosa e necessaria.
Per chi si è interessato del problema, tra cui il biologo marino Stefan Nehring: "il pericolo più grande è per la pesca. Le bombe sono a solo 50 metri di profondità" ed ha lanciato l'allarme ipotizzando, per esempio, cosa potrebbe accadere se queste granate s'impigliassero nelle reti da pesca per essere poi trasportate in superficie, ed ha sottolineato che "La pesca dovrebbe essere vietata in quella zona".
Il pericolo più diretto e reale risiede, tuttavia, nel fondo del Mar Baltico, dove si trovano circa 100.000 tonnellate di munizioni chimiche, il cui veleno, alla fine emergerà, come è accaduto nelle coste danesi e norvegesi.
Aleksander Korotenko, uno scienziato russo aveva predetto 10 anni fa che la bomba ecologica potrebbe esplodere dal 2020 e che avrebbe ucciso la vita nel Baltico per 100 anni.
Sono rivelazioni inquietanti, così come sorprende la sottovalutazione da parte delle autorità tedesche, sempre accorte in tema ambientale, ma forse troppo prudenti nell'occasione, probabilmente per non destare allarme nella popolazione che si nutre del pescato della zona ma che, ricorda Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", non è più e solo, tedesca.
Perché il consumo del pesce non riguarda la ristretta area della Germania del Nord, ma è un fatto che riguarda tutti i consumatori europei che, a questo punto, dovrebbero essere tutelati dalle istituzioni dell'UE cui s'invoca un intervento chiarificatore, ma anche decisivo, affinché persuada il governo tedesco ad una seria e definitiva bonifica delle aree contaminate.
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