Le nuove "diete" degli impianti di biogas:
non solo reflui zootecnici ma sempre più scarti
di lavorazione di olive, uva, ortaggi, barbabietole...
le grandi nuove opportunità per l'industria alimentare.
Per saperne di più su come trasformare i rifiuti in risorsa l'appuntamento è a BioEnergy Italy (Fiera di Cremona, 5-7 marzo 2014).
Cremona, 21 febbraio 2014 - "L’elenco dei sottoprodotti agroindustriali è lungo e molto variegato. Il gestore dell’impianto di biogas deve saper individuare qual è quello più indicato per il suo digestore."
Così Lorella Rossi, ricercatrice del Crpa (Centro ricerche produzioni animali) di Reggio Emilia, che proprio di valutazione ed efficienza delle diete alternative per produrre biogas parlerà al convegno previsto a CremonaFiere il 5 marzo prossimo, primo giorno di Bioenergy Italy, la rassegna dedicata alle energie rinnovabili giunta alla sua quarta edizione e in calendario dal 5 al 7 marzo 2014.
“Ad eccezione dei piccoli impianti – spiega la ricercatrice – quelli fino a 100 kW di potenza installata che devono essere alimentati con i soli effluenti zootecnici, tutti gli altri di potenza superiore richiedono un mix di alimento, se così vogliamo chiamarlo, che va tarato in base alle caratteristiche della biomassa che si intende utilizzare senza trascurare le voci legate al trasporto, alla conservabilità e allo stoccaggio. Nella maggior parte dei casi, escludendo le colture dedicate, i sottoprodotti utilizzati sono di natura agroindustriale e la quantità da inserire nell’impianto è sempre molto variabile, posto che non è pensabile utilizzarli in quota esclusiva”.
Trasporto, conservabilità, stoccaggio sono voci che incidono significativamente a livello economico nell’approvvigionamento dei sottoprodotti da utilizzare per alimentare l’impianto
L’elenco dei sottoprodotti è particolarmente lungo. Tra gli agroindustriali vanno annoverati quelli ottenuti dalla trasformazione del pomodoro, delle olive, dell’uva, della frutta, degli ortaggi, delle barbabietole da zucchero. Ci sono poi i sottoprodotti derivanti dalla lavorazione dei cereali, del risone, di frutti e semi oleosi, della birra così come altri ottenuti dall’industria di panificazione e quella dolciaria e dalla torrefazione del caffè. “Come si vede si tratta di un mondo molto variegato – sottolinea Lorella Rossi – alcuni, in termini di conservabilità e costi di approvvigionamento non sono particolarmente impegnativi: il farinaccio secco, tanto per fare un esempio, ha un prezzo e una durata nel tempo molto più convenienti della polpa di barbabietola che invece costa di più ed è più facilmente deperibile.
Il potere metanigeno di una biomassa varia a seconda di come viene gestita. Per questo è importante conoscerne le caratteristiche chimico-fisiche
Il gestore dell’impianto di biogas deve quindi fare un’attenta valutazione prima di stabilire quale, di questi sottoprodotti, è il più indicato. Uno dei principali requisiti da cui bisogna partire è poi quello di stabilire quanto quel determinato sottoprodotto rende in termini di energia, senza dimenticare comunque che il potere metanigeno di una biomassa è determinato da come viene gestito in digestione anaerobica. In pratica, il valore energetico è legato alle sue caratteristiche e in relazione ad esse andrà sfruttato adeguatamente”.
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