Come
progettista, tecnico installatore di impianti industriali e ambientali e da
pensionato, inventore di soluzioni industriali e ambientali globali, il
sottoscritto non trova interlocutori in un mondo schiavo delle specializzazioni.
Come tutti, anche le Università non rispondono, per questo al titolo
dell’articolo c’è un grosso punto interrogativo. Ma rappresentano il futuro e l’articolo
è dedicato, soprattutto, a loro.
I problemi che solleva il sottoscritto sono
sfuggiti alla scienza, alla tecnica, alla politica e all’economia. Anche le
soluzioni che propone non trovano interlocutori per una semplice ragione: sono
multidisciplinari. Per rispondere il settore pubblico dovrebbe nominare
apposite commissioni, il privato dovrebbe realizzare apposite associazioni di
imprese.
Entrambe, commissioni e associazioni, darebbero risposte provvisorie.
Poi, ognuno ritornerebbe al proprio lavoro. Invece servono risposte multidisciplinari
quotidiane nella gestione dell’ambiente e dell’economia del futuro. Le
università sono già multidisciplinari (anche se non sfruttano questa qualità
come deve essere sfruttata) e presenti in tutti i territori del mondo. Ma non
fanno né sono chiamate a fare sopralluoghi accurati prima di realizzare
impianti pubblici depurativi ed energetici.
A che servono indagini accurate se
non si stabiliscono i parametri da verificare? Tutti sono convinti, in buona o
cattiva fede, che il sistema di protezione ambientale sia quello attuale. Occorrono
soltanto maggiori investimenti per coprire meglio i territori. Invece, per
progettare impianti globali è necessario verificare se esistono le risorse naturali
per neutralizzare l’inquinamento e proteggere l’ambiente. E’ vero che nulla si
crea e tutto si trasforma ma è necessario avere gli ingredienti giusti al posto
giusto. Nel caso di un impianto termico, ad esempio, non basta soltanto l’acqua
di raffreddamento, serve anche quella necessaria per neutralizzare il CO2 che
nessuno ha mai preso in considerazione. E servono maggiori spazi per concedere
i tempi di contatto ai reagenti.
L’ingombro di una centrale termoelettrica può
anche triplicare ma è poca cosa nei confronti della protezione dell’ambiente
che non poteva essere fatta con semplici ciminiere. La scienza non dovrebbe
meravigliarsi se vuole utilizzare sistemi naturali, senza barare, nascondendo
il CO2 nel sottosuolo, ma anche rinunciando a inviare carbonati ai mari che ne
hanno bisogno. E’ necessario ripartire da zero, ragionando senza interessi di
parte, scegliendo tra le tecnologie sviluppate quelle che hanno il miglior
rendimento globale, non visto soltanto in un’ottica locale. Ragionando e agendo
nel rispetto di queste regole anche l’economia cambierà radicalmente,
producendo più lavoro e una maggiore equità nella distribuzione della
ricchezza. Riporto di seguito alcuni argomenti trascurati, la cui soluzione, a
parere del sottoscritto, comporta una rivoluzione globale della società:
industriale, urbana, agricola, energetica, ambientale.
1) Perché
spendere risorse per depurare le acque inquinate urbane quando possiamo
concedere libero sfogo ai nutrienti in esse contenuti per produrre biomasse
digeribili che producono energia? E’ questo quello che ha pensato il
sottoscritto quando si è reso conto che alle attuali depurazioni sfuggono
immense quantità di acque inquinate dall’agricoltura, dalla zootecnia, dagli
scarichi abusivi, proponendo gli stagni biologici sovrapposti che sfruttano la
fotosintesi per depurare gratis le acque man mano che salgono verso l’alto. I
fanghi che si accolgono nei fondali possono essere facilmente estratti e
digeriti per produrre il metano necessario a produrre l’energia che serve per
il sollevamento delle acque e dei fanghi stessi. E se queste acque contengono
metalli pesanti o sali in grandi quantità come quelle marine o salmastre, (o
materiali radioattivi come le grandi quantità che stanno inquinando per
estrarre lo shale gas) possiamo far circolare sotto la superficie ricoperta da
piante acquatiche dei cestelli forati contenenti resine di scambio ionico, che
trasportati da convogliatori aerei mono o birotaia porterebbero le resine al
lavaggio e rigenerazione rilasciando i sali o metalli pesanti in fanghi che
sarebbero trattati separatamente per recuperare il recuperabile. Questo sistema
consente di depurate e desalinizzare portate di acqua migliaia di volte
superiori a quelle che depuriamo o desalinizziamo ora.
2) Perché
trascinare per centinaia di chilometri fanghi, sedimenti, acque di scarico
urbane e piovane nelle fogne per centinaia di chilometri per raggiungere
lontani depuratori? Non lo sappiamo che le proteine che contengono zolfo
producono idrogeno solforato, le urine azoto ammoniacale? Queste sostanze
insieme distruggono l’ossigeno, producono acido solforico e acque settiche, la
cui depurazione deve essere preceduta da una costosa rigenerazione, alti
consumi energetici, emissioni atmosfera, per produrre alla fine, comunque acque
acide. Senza fare niente e senza consumi energetici, nelle vecchie fosse Imhoff
abbattevamo fino al 35% dei carichi organici e fino all’80% dei sedimenti.
Sarebbe bastato un piccolo sforzo nel migliorare questo sistema aerando
soltanto la zona superiore ed estraendo i fanghi da quella inferiore. In questo
modo avremmo creato dei depuratori verticali inodori di poco ingombro PVUM (purifying vertical urbans module) inseriti
nel tessuto urbano e per vie separate (non in comune), avremmo potuto inviare i
fanghi ai digestori e le acque agli stagni biologici sovrapposti. Le acque
(depurandosi) produrrebbero altri fanghi che si aggiungerebbero a quelli già
prodotti dai depuratori verticali, aumentando la produzione energetica dei
digestori.
3) Perché le
ciminiere continuano ad essere dei semplici tubi rivolti verso il cielo?
Non lo sappiamo che Il CO2 e i SOx sono più pesanti
dell’aria? Se creiamo una camera di espansione all’estremità superiore delle
ciminiere e le realizziamo con doppia camera, senza fare niente altro, a causa
dell’azzeramento della velocità dei fumi, buona parte delle particelle più
pesanti (ceneri CO2, SOx), anziché disperdersi
nell’atmosfera, cadrebbero verso il basso: CCPC (capture
cooling purification chimney). Ma potremmo aumentare la percentuale inserendo dei
ventilatori che richiamano verso il basso i fumi e addirittura, inserire filtri
elettrostatici in queste camere di espansione. Cosa ne faremmo di quest’aria
inquinata ricca di CO2? Semplice, la utilizzeremmo per ossidare le
acque nei depuratori verticali urbani (pos.2). Come? Se c’è spazio in
superficie, realizzando una mini serra calcarea, sopra i depuratori e facendovi
scorrere le acque che ossidandosi si arricchiscono anche di carbonati
consumando il CO2. Se non c’e spazio usiamo dei diffusori di aria e dosiamo
ossido di calcio per assorbire il CO2, producendo ugualmente
carbonati nelle acque. Se la produzione di CO2 catturata
dalle ciminiere è superiore a quella sorbibile dalle acque comprimiamo il CO2
in serbatoi e reti interrate per utilizzarlo negli impianti di maggiori
dimensioni dove si depurano e alcalinizzano anche le acque piovane e agricole
(pos 1).
4) Perché le
ciminiere, oltre che essere utilizzate come recuperatori del CO2 (pos
2) non sono utilizzate anche come recuperatori di calore idrotermico e
aereotermico per l’alimentazione delle caldaie urbane?. Parliamo prima
dell’idrotermico
Le caldaie di riscaldamento e consumo di
acqua calda alimentate a gas sono alimentate delle autoclavi condominiali. Le quali sono costituite, in genere, da almeno
un (apt), atmospheric pressure tank (serbatoio a pressione atmosferica)
più (etcw), espansion tanks for cold water (serbatoio di espansione per l’acqua
fredda) che è pressurizzato con aria e un gruppo (cwlp), cold water lift pump (
sollevamento dell’acqua fredda). Per effettuare il recupero idrotermico dobbiamo
aggiungere al sistema autoclave un (ethw), espansion tanks for hot water
(serbatoio di espansione per l’acqua calda) e un (hwcp), hot water circulating
pump ( gruppo di sollevamento dell’acqua calda. Inoltre dobbiamo a
aggiungere le tubazioni necessarie per i
collegamenti tra lo scambiatore di calore (fgwe) contenuto nella ciminiera e il
serbatoio di espansione per l’acqua calda (ethw). La nuova rete (bws) non è
altro che lo stesso scambiatore (fgwe) che prolunga il proprio percorso
ritornando al serbatoio (ethw).
L’acqua consumata da questo circuito chiuso che
alimenta solo le caldaie viene reintegrata automaticamente dal serbatoio (etcw)
tramite la valvola unidirezionale che lo collega a (ethw). Lo scambiatore (fgwe)
segue tutto il percorso dei fumi, avvolgendosi a spirale sulla canna fumaria
interna. Da esso si staccano le diramazioni che distribuiscono l’acqua preriscaldata
alle singole utenze, che possono essere le (db) domestic boiler (caldaie
domestiche), oppure (pfb), public facility boiler (caldaie condominiali). Lo
scopo di questo circuito è, soprattutto, quello di alimentare con acqua
preriscaldata dal calore dei fumi, oggi sprecato, le acque che entrano nella
caldaia, riducendo il salto termico e quindi i consumi energetici
proporzionalmente.
Infatti, l’energia consumata per il riscaldamento è data
dalla semplice formula E = cs·m·(Tfinale – Tiniz), dove cs è il calore
specifico dell’acqua e m è la massa.
Questo significa che se riduciamo il salto
termico nella caldaia del 25 % riduciamo anche il consumo energetico della
stessa percentuale. Non è male, se si considera che le ciminiere CCPC (capture cooling purification chimney)
nascono soprattutto per risolvere problemi ambientali. Se si considera che la
temperatura dei fumi all’uscita delle caldaie comuni si aggira sui 180 gradi e
quelle a condensazione sui 65 gradi centigradi, non dvrebbe essere una cattiva
idea se aggiungiamo anche una terza camera alle ciminiere per consentire anche il
recupero aerotermico del calore. Infatti, la terza canna anulare esterna,
collegata con l’atmosfera,
preriscalderebbe l’aria comburente o l’aria di rinnovo dei condizionatori.
Quindi potremmo aumentare ulteriormente il rendimento di caldaie e
condizionatori. Il deposito di brevetto del sottoscritto si è fermato alla
ciminiera con doppia canna fumaria, scambiatore di calore e camera di
espansione superiore.
Il sottoscritto ha ritenuto inutile brevettare la terza
camera se è già difficile vedere realizzata la seconda, senza un intervento
legislativo apposito in favore di questo tipo di ciminiere. Ma è solo questione
di tempo perché già si stanno realizzando soluzioni (pompe di calore a gas )
che sfruttano per mezzo di sonde immerse il calore contenuto nel sottosuolo e
nelle acque di falda pur di non scambiare il calore con aria e acque alla
temperatura ambiente esterna, che nei mesi invernali è molto più bassa di
quella che si può ritenere costante nel sottosuolo. Certamente le ciminiere
CCPC risolvono più problemi insieme. Oltre tutto si sommano, non sono
alternativi a quelli gia utilizzati dalle pompe di calore, caldaie e
condizionatori.
5).Per le
grandi ciminiere delle centrali termoelettriche, degli alti forni,
inceneritori, cementifici, fornaci produttori di calcio che cosa facciamo? Usiamo
lo stesso sistema per recuperare i fumi e abbiniamo le nuove ciminiere a grandi
serre calcaree, dove in un ambiente saturo di CO2, piogge d’acqua artificiali
producono carbonati nelle acque che è il sistema usato dalla natura, oggi
insufficiente per la massiccia produzione di CO2 di origine fossile.
6) Perché l’energia fossile è più economica delle altre? In parte
perché bisogna soltanto estrarla dal sottosuolo, ma soprattutto perché la
produzione non rispetta le regole ambientali sulle depurazioni, sia nelle fasi
di estrazione (leggi shale gas) sia nelle fasi di produzione dell’energia. Le centrali
termoelettriche attuali producono migliaia di MWh, non raffreddano le acque,
non depurano sufficientemente i fumi, non recuperano il calore e non
trasportano nemmeno un grammo di carbonato nelle acque. Considerando che
l’energia è prodotta da impianti pubblici, bisogna dire che chi ha progettato
le centrali termoelettriche da 200 anni a questa parte Ha dimostrato di non conoscer
niente dei sistemi naturali di difesa dell'ambiente. Gli slogan pubblicitari
sulla ricerca che fanno i gestori dell’ energia per attirare clienti, li
raccontino a qualcun altro. Hanno fatto pochissimo per proteggere l’ambiente.
Le ciminiere CCPC e le serre calcaree non sono
invenzioni tanto complicate da non esistere ancora nel 2014. Se esistessero,
l’energia fossile sarebbe pulita come il solare e l’eolico, ma creerebbe anche più lavoro questo non sarebbe un male
in vista della crescita mondiale della popolazione. Solo in quel caso potremmo confrontare costi
e benefici. Forse, a breve, si potrà fare un confronto reale tra energia
fossile e biologica che potranno convivere insieme per qualche millennio perché
il calore che viene disperso nelle acque e nell’aria dalle
centrali termoelettriche arriva fino al 70% del potere calorifero inferiore del
combustibile nel caso del carbone, 60% nel caso del gasolio e metano, 50% nel
caso di centrali con ciclo combinato. L’abbinamento dell’energia fossile con
quella biologica sarà la formula vincente del futuro perché il calore oggi
sprecato dalle centrali termoelettriche sarà usato per riscaldare digestori
anaerobici di grandi capacità appositamente progettati dal sottoscritto.
Oggi,
per produrre energia da biogas dobbiamo sprecarne circa il 40% per riscaldare i
digestori che producono il biogas. Ma bisogna anche considerare che il biogas
prodotto contiene il 25 – 30% di CO2 . Il quale oltre a essere un
gas serra riduce della stessa percentuale il potere calorifero del biogas
prodotto. L’abbinamento tra il fossile depurato e il biologico del futuro
consentirà anche l’abbinamento tra LDDC
(linear digester dehydrator composter digestor), CCPC (capture cooling purification chimney), VMCPG vertical mechanized covered production green house,
BCSVP (biological covered superimposed ponds)
per ottenere un biogas poverissimo di CO2
, acque depurate e alcalinizzate, compost agricolo in grande quantità
direttamente insaccato.
7)
Dove prendiamo tutto il calcio e
magnesio necessari per combattere l’acidificazione dei laghi e dei mari? Dai
ricercatori è stata compilata una graduatoria degli elementi più diffusi nelle
rocce, indipendentemente dalla genesi di queste: ossigeno 46,6%; silicio 27,7%;
alluminio 8,1%; ferro 5,0%; calcio 3,6%; sodio 2,8%; potassio 2,6%; magnesio:
2,1%. Non è un problema trovare il calcio e il magnesio in natura, anche se
dovessimo spianare qualche montagna calcarea fino a quando il biologico non
risanerà i mari e le terre e i combustibili fossili sostituiti. L’importante è
non emettere CO2 nell’atmosfera per produrre carbonati e utilizzare lo stesso
CO2 delle ciminiere per corrodere il materiale calcareo insieme all’acqua.
Nei
cestelli delle serre calcaree VMCPG possiamo metterci anche altri
materiali calcarei soggetti all’erosione. Pensiamo agli inerti cementizi delle
demolizioni, opportunamente separati dalle sostanze inquinanti contenute negli
intonaci. Questi sono composti dal 64% ossido di calcio, 21% ossido di silicio,
6,5% ossido di alluminio, 4,5% ossido di ferro, 1,5% ossido di magnesio, 1,6%
solfati, 1% altri materiali, tra cui soprattutto acqua. Pensiamo ad estrazioni
calcaree miste da effettuare direttamente dai fondali marini, prima che siano
compattate e amalgamate dalle pressioni idrostatiche e dai millenni. Senza
andare a disturbare importanti riviste scientifiche, si cita da Wikipedia un
piccolo stralcio della voce “calcare”: “La formazione organogena del calcare deriva dal fatto che molti
esseri viventi sono dotati di un guscio scheletro calcareo. Dopo la morte di tali
organismi, i resti dopo un percorso più o meno lungo vanno a fondo, deponendosi
sul fondale marino. Dopo la decomposizione delle parti molli, le
parti mineralizzate formano sedimenti che ricoprono aree sovente di notevole
estensione.
Ad esempio, Le “melme a globigerina” coprono
oggi il 37,4% del fondo del mare che corrisponde al 25,2% dell'intera superficie
terrestre”. La “globigerina” è una pietra morbida calcarea che tende a
indurirsi con il tempo e l’esposizione all’aria. Con la tecnologia moderna
sarebbe abbastanza semplice estrarre le melme con l’aiuto della pressione
idrostatica. E’ solo un’idea, come tante, ma si potrebbero realizzare
piattaforme galleggianti attrezzate per estrarre, aerare, disidratare e
insaccare queste melme con lo stesso sistema che il sottoscritto impiega da
anni virtualmente (descritto in altre pubblicazioni).
A mio parere, è l’unico
sistema per produrre grandi quantità di fanghi disidratati anche se deve essere
migliorato con la sperimentazione. Per le piccole quantità di fango e compost
che produciamo ora, gli imprenditori dell’ambiente preferiscono gli attuali
sistemi. Ancora nessuno ragiona in termini di protezione globale dell’ambiente,
dove tutto deve essere moltiplicato almeno per cento, e l’ambiente deve essere
indissolubilmente legato alla produzione di energia e al risanamento dei mari e
dei suoli attraverso grandi scorciatoie dei sistemi naturali che solo la grande
industria applicata all’ambiente potrà consentire.
Non esiste nulla nel mondo di quanto riassunto nei sette
punti sopra esposti e il sottoscritto che ne è l’inventore dall’ormai lontano
novembre 2012 (il sistema di disidratazione risale al 2009) ancora non trova
interlocutori istituzionali. E’ già strano che le multinazionali e i
ricercatori pubblici si concentrino su singole soluzioni più o meno
commerciali, rigorosamente separate le une dalle altre. L’unico che propone
soluzioni globali e collegate è un pensionato. Ma quello che è peggio è il
silenzio che accompagna queste soluzioni che non potranno mai diventare reali
perché gli LDDC, CCPC, VMCPG, BCSVP si devono confrontare sul piano economico con surrogati
commerciali di potenzialità mille volte inferiori nella protezione
dell’ambiente.
Nel calcolo dell'efficienza energetica, coloro che governano
l’ambiente dovrebbero mettere rutti i dati, compresi i costi delle portate di
acqua e aria depurate. Nel caso dell’energia biologica abbinata alla fossile si
dovrebbero scalare i costi per la pulizia dell’energia fossile, quelli
depurativi delle acque urbane (che sono depurate male essendo rese acide e con
emissioni di CO2) e agricole (che oggi non sono depurate); i costi delle protezioni oceaniche e lacustri
per mezzo dell’alcalinizzazione, che oggi non esistono; quelli delle
depurazioni dell’aria urbana che oggi non è possibile fare, bisogna aggiungere
anche il valore dei concimi e dei posti di lavoro che si creeranno. La logica
ed il buon senso dovrebbero imporre ai governanti di fare bene i conti mettendo
tutto nel bilancio, non fermandosi soltanto agli slogan pubblicitari
dell’energia semplicemente pulita, senza contare gli oneri di smaltimento dei
materiali invecchiati e lo scarso contributo al ripristino degli ecosistemi.
Tra le energie semplicemente pulite sono comprese anche le biomasse che non
recuperano il calore non producono concimi e acque alcaline. Conteggi fatti
troppo in fretta sottraggono risorse all’energia che proteggerebbe realmente
l’ambiente che non ha ricevuto un solo euro, dollaro, yen, yuan di
finanziamento.
Fino a oggi non è stato possibile razionalizzare
la progettazione ambientale ed energetica perché nel mondo intero, non esiste
la cultura e la capacità di proteggere industrialmente l’ambiente. Il
sottoscritto per imparare qualcosa ha trascorso un ventennio nei sistemi
industriali e un altro in quelli ambientali. Solo da pensionato ha potuto
mettere insieme le due esperienze perché nessuno lo avrebbe pagato per fare
questo lavoro. Oggi un normale laureato in ingegneria, forse anche in
architettura, può progettare un impianto pubblico di depurazione, termico o
termoelettrico, purché rispetti le normative. Non ci sarebbe nulla da eccepire,
se lo stato dell’arte nella protezione dell’ambiente fosse più elevato di
quello che è e le normative fossero adeguate alla protezione globale
dell’ambiente.
Per il sottoscritto, le norme dovrebbero comprendere anche il
recupero del calore, dell’energia contenuta nei fanghi, l’abbattimento sostenibile
del CO2, l’adeguamento delle acque di scarico all’alcalinità del corpo idrico
ricevente, oltre agli altri parametri già previsti. Per adeguare tutti gli
impianti a questi semplici obiettivi è necessaria una seconda rivoluzione
industriale, che certamente non possiamo addossare soltanto agli studi di
progettazione d’ingegneria. Come possono i progettisti migliorare questi
impianti, senza partecipare alla gestione, senza fondi per la ricerca e la
sperimentazione di nuove soluzioni? Devono per forza fare quello che fanno: rispettare
normative insufficienti e scegliere tra i cataloghi le macchine adeguate al
progetto. Fanno la stessa cosa le società di ingegneria specializzate solo in
questi settori.
Purtroppo, nei cataloghi non esistono macchine che possano
prevenire la formazione di idrogeno solforato nelle fogne né l’azoto
ammoniacale. Quindi, chi ha universalizzato nel mondo un sistema che non può
funzionare, per vizi di origine, anche migliorando la qualità delle macchine? Anche
senza fare calcoli sul ritorno degli investimenti, non è possibile tenere in
vita un sistema che distrugge risorse nelle fogne per rigenerarle nei
depuratori e sappiamo che non sempre ci riesce, per avversità meteorologiche ma
anche per altri banali errori di progettazione. La stessa cosa è avvenuta per
gli impianti termoelettrici, che avrebbero voluto cavarsela con semplici
filtrazioni e ancora più semplici ciminiere. Pur di non migliorare gli
impianti, si sta cercando di porre un rimedio con le nuove energie.
E per gli
altri impianti termici industriali che cosa facciamo? Acciaierie, cementifici,
inceneritori, produttori di ossidi di calcio, fornaci producono lo stesso
inquinamento e anche peggio. Sono progettati direttamente dalle aziende
produttrici, le quali devono fare i conti con la concorrenza. Queste aziende,
pur conoscendo i problemi ambientali che creano, a volte, pur potendoli
risolvere, aspettano che siano le normative a imporre soluzioni. Solo in questo
caso tirano fuori le loro soluzioni, se migliori, per ricavare profitto dai
brevetti che non avrebbero mai anticipato. Chi deve fare il primo passo nella
protezione dell’ambiente, giusto o sbagliato, è la scienza pubblica, altrimenti
il meccanismo non si muove.
Senza il primo passo non possono essere prodotte le
normative e non possono essere migliorate. Ma la scienza pubblica questo
meccanismo, così semplice e collaudato ancora non lo ha compreso, nonostante
sia il perno intorno al quale ruota l’intero sistema. In altre parole, le
normative non possono essere emesse se non avanza lo stato dell’arte e lo stato
dell’arte non avanza perché le aziende industriali non investono nella ricerca
di soluzioni ambientali globali. Le filtrazioni e le depurazioni parziali sono
soltanto dei palliativi provvisori in attesa che si affinino i processi e le
tecnologie per emettere normative più restrittive e vincolanti per tutti i
paesi. L’inquinamento aereo e delle acque attraverso i venti, gli oceani, i
laghi e i fiumi riguarda tutto il pianeta. Ma a duecento anni dall’avvento
dell’epoca industriale, il cane continua a mordersi la coda e nessuno propone
ancora soluzioni globali, che coinvolgano nel sistema protettivo aria, acqua,
energia, a parte il sottoscritto, che ancora non trova interlocutori, soprattutto,
nella scienza pubblica, che avrebbe dovuto essere la prima a proporre queste
soluzioni per le ragioni sopra esposte.
Che cosa aspettano? A leggere tutte
insieme le proposte del sottoscritto sembrano opere di fantasia. Nella realtà
sono state precedute da una ventina di brevetti mai realizzati, i quali hanno
funzionato solo virtualmente e sono stati superati dalle successive invenzioni,
mentre gli addetti ai lavori privati e la scienza pubblica non si sono accorti
di niente. La ricerca specialistica non è tutto per avanzare nello stato
dell’arte. In molti casi possono molto di più le sinergie tra settori diversi e
anche un estraneo al mondo della ricerca ambientale ed energetica può
rivoluzionare sistemi che vanno avanti approfondendo gli stessi problemi da un
centinaio di anni senza ottenere grandi risultati. Sono molte le strozzature
individuate dal sottoscritto che impediscono l’avanzamento dello stato
dell’arte ambientale. Non sono difficili da eliminare ma occorrono grandi opere
strutturali e molte discipline scientifiche che negli atenei si possono trovare.
Alla fine, anche le industrie saranno grate, perché senza infrastrutture
globali le aziende non possono adeguarsi alle normative. Occorrono sinergie tra
aziende diverse e infrastrutture pubbliche per non sprecare niente.
Per prima
cosa bisogna entrare nelle fogne per prevenire la formazione dell’idrogeno
solforato, separare i fanghi dalle acque e nelle ciminiere per catturare il CO2,
SOx e NOx. Acqua e aria vanno depurate insieme
mentre si producono biomasse energetiche anche nel sistema fognario e lungo i
litorali inquinati lacustri e marini. I depuratori attuali sono migliorati
tantissimo da quando nacquero un centinaio di anni fa. Peccato che siano
ingombranti e posizionati lontani dai centri urbani. Non possono contribuire
alla depurazione dell’aria e debbano sprecare il grosso dell’energia per
rimediare ai guai combinati dal sistema fognario. Per depurare insieme aria e
acqua nelle città occorre un sistema meno ingombrante, sviluppato in verticale,
collegato alle ciminiere, e completo di mini serre calcaree che separa l’acqua
dai fanghi, ossida le acque consumando il CO2, produce carbonati. Il
resto del trattamento sarà effettuato nelle unità centrali GSP (Global synergy protection)
Ma quanto e costato all’intero pianeta l’attuale sistema universalizzato da un
secolo, e da almeno mezzo secolo sappiamo che non è compatibile con la
depurazione globale, il recupero delle risorse energetiche e del CO2?
IL silenzio
della scienza pubblica su GSP non aiuta l’avanzamento dello stato dell’arte nella
protezione dell’ambiente che non avanza nemmeno nel settore privato. Fino ad
ora non è stato possibile consentire ai legislatori di imporre regole generali
sul recupero del CO2 e del calore sprecato. Nei convegni ufficiali non si parla
di depurazione globale. Nelle discussioni private e forums tecnici di provata
esperienza, per interessi di parte, mettono sullo stesso piano l’energia che
inquina, quella che non inquina e quella che addirittura proteggerebbe
l’ambiente producendo concimi naturali per combattere la desertificazione e
acque alcaline per contrastare l’acidificazione dei laghi e dei mari. Le prime
due energie esistono, e godono di finanziamenti pubblici. La terza non esiste
perché nessun ente pubblico vi ha investito un solo centesimo di euro. Questo
succede perché senza normative imposte dal legislatore nessuno realizzerà mai
le fogne depurative e le ciminiere che recuperano il CO2 e il
calore, che sono le cose più urgenti e semplici. I fabbricati serra e i grandi
digestori sono un sogno ancora più lontano. Nel frattempo gli impianti pubblici
distruggono risorse, gli impianti privati ne disperdono altre di cui ritengono
antieconomico il recupero.
Le università
non fanno quasi nulla per rubare all’industria le esperienze più importanti per
applicarle all’ambiente e ai recuperi energetici. Oggi si parla molto di
recuperi energetici nelle reti, nei fabbricati, nei rendimenti delle singole
apparecchiature ma non si vuole entrare nella logica dei rendimenti globali,
che attraverso le sinergie e il collegamento degli impianti sommerebbero
rendimenti termici, chimici, biologici, elettrici, superando il 100% dell’energia
spesa, grazie al recupero di energie disperse da altri impianti o dalla stessa
natura. Anche con soluzioni non perfette il meccanismo può iniziare a
funzionare e si può mettere il legislatore in condizione di proteggere meglio
l’ambiente. In materia ambientale, fatta la legge, non si trova l’inganno ma si
mette in modo un meccanismo positivo per trovare soluzioni ancora migliori e
ridurre i costi. Per proteggere l’ambiente non basta realizzare più impianti
uguali a quelli attuali che sono incompleti nelle prestazioni e tali resteranno
anche moltiplicandoli per cento.
E’ l’intero sistema che va cambiato per
riportare lo stato dell’ambiente e delle acque allo stato in cui era prima
dell’avvento dell’epoca industriale. Saranno gli stessi sistemi industriali a
consentire l’inversione di rotta, se si utilizzeranno in favore dell’ambiente.
Queste
semplici riflessioni del sottoscritto sono nate dopo un ventennio di esperienze
nel settore impiantistico ambientale, che si concluse nel 2006, con l’arrivo
della pensione, senza aver visto in quel periodo significativi passi avanti
nella protezione dell’ambiente. Siamo nel 2014 e nulla è cambiato. L’ambiente è
fermo mentre gli altri settori corrono e partecipano all’inquinamento. Molto
più proficuo, dal punto di vista professionale, fu il ventennio precedente,
trascorso nell’industria automobilistica, dove le novità, scientifiche e
industriali (non ambientali), si poteva dire, che fossero all’ordine del giorno
e tuttora lo sono. Si riesce a produrre migliaia
di auto al giorno con le tecnologie più sofisticate e diverse tra loro.
Il
segreto non è solo nella progettazione ma nei collegamenti tra le varie sezioni
e nella gestione quotidiana dei problemi cui partecipano tutti gli addetti ai lavori.
I progettisti delle linee di produzione e degli impianti non abbandonano
l’azienda, dopo la realizzazione della fabbrica ma restano per migliorarla
insieme alla quantità e alla qualità della produzione. La stessa cosa avviene
per altri stabilimenti industriali produttori di beni di consumo meccanici
chimici, alimentari. Nel settore privato, se i tecnici si fermano, sono
immediatamente superati dalla concorrenza. Nel settore pubblico nessuno si
accorge che sono fermi da decenni. Le attuali gestioni private, senza apporto
di capitali e idee, non innovano il sistema.
Quando il
sottoscritto, per libera scelta (per il desiderio di conoscere da vicino i
problemi ambientali), passò dai robot di saldatura, di verniciatura, magazzini
automatizzati, macchine a controllo numerico a trasferta e rotative, al settore
ambientale, fu come un ritorno al passato, non di decenni ma di qualche secolo.
Non per le tecnologie impiegate ma per l’organizzazione del lavoro, che, per
l’ambiente, deve essere vista in una dimensione diversa rispetto alle altre
attività umane. Un depuratore, una centrale termica, un inceneritore, un
digestore, un’acciaieria, un cementificio, non possono essere considerati
impianti singoli, ma reparti di un impianto più grande che li contiene tutti,
smistando i gas verso le serre calcaree, il calore verso i digestori, le acque
inquinate verso gli stagni biologici sovrapposti le acque da inviare ai mari
verso i bacini delle acque da alcalinizzare, sottoposti alle serre calcaree.
Quello che
manca nella protezione dell’ambiente e dell’energia è proprio l’organizzazione
industriale delle attività distribuite a caso sul territorio. Senza seguire un
processo globale di protezione dell’ambiente. Quello che succede nelle fogne
non riguarda i depuratori delle acque, e la depurazione si concentra solo su
alcuni parametri, mentre la depurazione dell’aria si può dire che non esista. Se
le università si impegnassero di più sul fronte ambientale, che è anche più
pertinente al settore pubblico, anziché spalleggiare o gareggiare con
l’industria con brevetti di dettaglio, o per lo meno parallelamente, oltre a
risolvere molti problemi ambientali, aiuterebbero i legislatori a emettere
normative di protezione ambientali al passo con i tempi. Ma potrebbero trovare
immense fonti di finanziamenti attraverso lo sviluppo di nuovi brevetti
ugualmente industriali ma applicati all’ambiente.
L’industrializzazione della
protezione dell’ambiente e dell’energia biologica apre un nuovo fronte che
produrrà più lavoro dell’industria manifatturiera, riguardando anche la
produzione alimentare in serre completamente automatizzate e verticalizzate
grazie ai sistemi sviluppati nelle industrie. Ci saranno immense reti di unità
periferiche da collegate agli impianti centrali che non avrà nulla di meno
rispetto ai grandi stabilimenti industriali e produrranno altrettanto lavoro
senza sprecare nulla.
Oggi le forze intellettive impiegate per produrre auto sono
centinaia di volte superiori a quelle impiegate per proteggere l’ambiente. I
brevetti sviluppati sul prodotto auto e componenti sono mille volte superiori a
quelli sviluppati per proteggere l’ambiente. Lo stesso si può dire per le
tecnologie coinvolte. Una fabbrica automobilistica, non può progettarla un
qualsiasi studio di ingegneria ma la direzione generale dell’azienda che
coinvolge le direzioni di sezioni, affinché l’intero know How venga riprodotto,
senza disperdere nulla, in un’altra parte del mondo. Dove in pochi mesi si
potranno produrre centinaia di macchine al giorno. Lo stesso vale per
frigoriferi lavatrici e televisori. Chi non ha vissuto entrambe le esperienze
non può vedere affinità tra l’industria e l’ambiente sul piano
dell’organizzazione del lavoro perché la protezione dell’ambiente, nonostante i
grandi impianti è restata allo stato artigianale. Anzi, i grandi impianti,
realizzati senza tener conto delle capacità di assorbimento sostenibile
dell’inquinamento sono il più grosso impedimento alla razionalizzazione del
sistema.
Il divario esistente tra l’industria tradizionale che non si occupa di
ambiente e il settore ambientale che non si occupa d’industria deve essere
colmato con un massiccio trasporto dei sistemi industriali nel settore
ambientale, con gli opportuni adattamenti al territorio e alla gestione delle
acque superficiali e piovane. L’industrializzazione della
protezione dell’ambiente è ostacolata dal silenzio di coloro che potrebbero
trarne il massimo beneficio. Mi riferisco in modo particolare alle facoltà
universitarie scientifiche, che oggi sono ben distribuite su tutti i territori.
Le università devono ragionare in modo collegiale come le aziende
automobilistiche, aprendosi alle sinergie con i sistemi industriali. Devono
essere loro a rubare le esperienze industriali che hanno fatto la differenza
consentendo l’aumento della produttività e portandole nelle applicazioni
ambientali. Non possono aspettarsi che le industrie trasferiscano
spontaneamente il loro Know How nei sistemi depurativi, essendo concentrati
solo sulla produzione commerciale. Non possono aspettarsi che lo facciano
nemmeno gli attuali progettisti di sistemi depurativi ed e energetici che
considerano i settori completamente separati per limiti imposti dalla
formazione culturale che le stesse università producono, ma anche limiti imposti
dal sistema economico concentrato sul prodotto commerciale non multi
disciplinare; come può essere considerato il pannello solare, la pala eolica,
l’acqua depurata separata dall’alcalinità, i fumi depurati separati dal CO2;
l’energia biologica separata dal trattamento del digestato liquido,
compostaggio e disidratazione di quello solido; l’energia fossile separata dal
recupero del calore e dal recupero sostenibile del CO2. Quando ci si
concentra su un prodotto non multidisciplinare anche un’attività artigianale
industrializzata può fare grandi fatturati.
Ma bisogna chiedersi quando può
durare il monopolio? Quando invece ci si concentra su un prodotto
multidisciplinare come l’auto occorrono grandi sinergie e grandi investimenti e
grandi alleanze. La Fiat se non si fosse alleata con la Chrysler non avrebbe
potuto competere sul piano internazionale con gli altri colossi industriali. I
piccoli produttori di auto sono già stati spazzati via dal mercato o assorbiti
dai grandi gruppi. Le grandi aziende industriali dei beni di consumo come
quelle delle auto e gli elettrodomestici sono le più ambite dai governi: creano
molto lavoro, non sono molto inquinanti e non hanno bisogno di grandi
infrastrutture pubbliche per essere compatibili con l’ambiente. Purtroppo
queste aziende, con l’economia globale, vanno dove vogliono e stanno
abbandonando paesi come l’Italia.
Altre
attività creano maggiori problemi ambientali e richiedono che i governi
diventino i primi imprenditori se vogliono attirare anche investimenti privati:
energia, agricoltura, zootecnia, chimica, acciaierie, cemento, calcio,
laterizi, alimentazione, artigianato. Questi settori possono crescere soltanto
se cresce il livello tecnologico e industriale della protezione dell’ambiente.
Le aziende private non possono addebitarsi tutti gli oneri depurativi. Pensiamo
all’inquinamento prodotto da concimi chimici e pesticidi nelle acque di scolo.
Anche volendo è difficile intercettare queste acque senza grandi opere
strutturali. Deve intervenire lo stato imprenditore. Pensiamo alla grande
quantità di calore disperso dagli impianti termici industriali ed energetici che
non è mai separato da altre sostanze inquinanti.
Il recupero del calore ai fini
energetici potrebbe rendere sostenibile anche la depurazione dei fumi se
l’azienda sapesse come utilizzare quel calore. Anche in questo caso deve
intervenire lo stato imprenditore che deve recuperare quel calore e il CO2 in
esso contenuto per metterlo a disposizione di altre aziende in grado di
utilizzarli per altre produzioni. L’alternativa è quella attuale. Fuga di
aziende, di capitali e di cervelli dal paese. In verità, questi concetti
sconosciuti dovevano essere messi in atto da molto tempo se i governi avessero
creato una progettazione pubblica efficiente in grado di progettare opere
strutturali che affianchino le attività industriali agricole urbane dal punto
di vista della lotta all’inquinamento e il recupero delle risorse. A che
servono consorzi di bonifica, comunità montane, ARPA; AATO, aziende
municipalizzate, con scarse o nulle capacità di progettazioni? Rinforziamo le
strutture universitarie, dove i cervelli ci sono e si possono anche coltivare.
Facendoli crescere progettando opere multidisciplinari di pubblica utilità
diverse da quelle attuali. Serve a poco creare corsi di laurea in ingegneria
ambientale se i depuratori e le centrali termoelettriche, digestori,
compostatori, inceneritori si continuano a realizzare sempre allo stesso modo,
posizionati a caso, sul territorio. Questo significa che anche i professori che
insegnano le materie ambientali non dialogano tra di loro, altrimenti si
sarebbero accorti che il sistema non funziona, come se ne è accorto il sottoscritto
dai cantieri.
Nella depurazione globale aria, acque, calore, gas, vanno
trattate insieme, quindi depuratori, impianti termici, termoelettrici,
industriali, urbani vanno collegati con
linee dedicate separate all’unità centrale GSP (global synergy plant), dalla
quale usciranno i prodotti finiti: energia, concimi, biometano, acque alcaline,
biomasse alimentari. Il GSP nasce intorno o nelle vicinanze di un impianto
termico esistente che inquina, portandovi le acque necessarie e creando le
infrastrutture necessarie per farlo funzionare.
Cambiare
i sistemi depurativi ed energetici in un unico sistema globale per le
università che lo comprenderanno prima degli altri può diventare la più
importante fonte di finanziamento, attraverso
lo sviluppo dei brevetti. Attualmente, le aziende che lavorano nella
protezione dell’ambiente sono concentrate soprattutto nella produzione di
macchine di trattamento che non servono nei sistemi globali. Infatti, il
sistema depurativo attuale si basa su alti carichi organici e bassi carichi
idraulici. Non può essere utilizzato per depurare anche i fumi, nemmeno per le
grandi portate che comporta l’inquinamento agricolo e nemmeno per rendere
alcaline le acque che passeranno attraverso le centrali termiche.
Oggi gli
imprenditori dell’ambiente e dell’energia forniscono quello che loro stessi
hanno progettato mentre la progettazione pubblica li ha lasciati fare. Ci
ritroviamo con macchine e impianti che non servono perché svolgono funzioni
molto parziali e non possono completare i cicli depurativi delle acque dei fumi
in favore dell’ambiente, producendo insieme energia pulita, concimi naturali e
acque alcaline. Nessuna multinazionale abbraccia tutti i settori che entrano
nel sistema globale di protezione dell’ambiente e nessuna è ramificata sui
territori per individuare le possibili sinergie naturali e industriali. Le
applicazioni da sviluppare sono tantissime e i giovani laureati potranno
trovare direttamente il lavoro nelle stesse università o nelle attività indotte.
E’ un nuovo modo di proteggere l’ambiente che anticipa la crescita della
popolazione mondiale senza precedenti che avverrà a breve termine. Mettono
insieme in un solo progetto le diverse tecnologie che si stanno sviluppando nel
mondo, non ingabbiandole, ma concedendo loro di crescere meglio. Consentono
alle aziende di sfruttare, a costo zero, energie termiche, nutrienti messi a
disposizione da altre aziende che risparmiano sui costi di raffreddamento e di
depurazione. Servono opere di presa delle acque lungo i fiumi laghi e mari, o
grandi bacini per le acque piovane posizionati dove si produce energia e si
depurano le acque con stagni biologici sovrapposti, per depurare grandi portate
di acque da pesticidi, nitrati e metalli pesanti mentre raffreddano anche le
centrali termoelettriche, laminatoi e impianti industriali. Non ci servono
bacini di acque in montagna che possono causare alluvioni, eutrofizzazioni, e
non servono alle depurazioni, ai raffreddamenti e alla lotta
all’acidificazione.
Servono grandi fabbricati serra sviluppati in verticale,
nuovi sistemi di produzione di biomasse. Nuovi sistemi di lavorazione
meccaniche dei terreni riportati al coperto per le colture energetiche e
alimentari. Servono automazioni industriali, trattamento aria, convogliatori
aerei monorotaia, birotaia, automotori, Trasloelevatori, trasporti pneumatici,
silos, tramogge coclee, trituratori, elettropompe, ventilatori, digestori,
compostatori, gasometri, reti di distribuzione dei fanghi, gas, CO2.
I problemi
depurativi delle acque dell’aria e dell’energia non sono tecnologici ma,
soprattutto di organizzazione del lavoro perché oggi non si fanno le cose
giuste, al posto giusto, al momento giusto, nel modo giusto, sfruttando tutte
le tecnologie a disposizione, integrando i cicli antropici dell’uomo con quelli
della natura. Non esistono cicli di lavorazione organizzati degli elementi in
entrata negli impianti: aria e acque inquinate, additivi chimici o naturali;
biomasse acquatiche o terrestri. E non esistono collegamenti tra i vari reparti
che potrebbero concorrere a realizzare un solo stabilimento produttivo di
depurazione e di energia (GSP = Global Sinergy Plant).
Come scritto, i reparti
della fabbrica protettiva dell’ambiente GSP, non sono altro che le attuali
Centrali termiche, Depuratori, digestori compostatori, inceneritori,
acciaierie, cementifici, insediamenti urbani. I quali, oggi, sono posizionati
sul territorio in base a piani regolatori, che tengono conto soltanto di alcuni
aspetti logistici e depurativi ma sono posizionati a caso per quanto riguarda
la gestione delle risorse energetiche e protettive dell’ambiente (calore, CO2
acque superficiali) I GSP saranno molto simili agli stabilimenti
industriali, pur con alcuni reparti distanti alcuni chilometri. Ma ogni
collegamento avrà una propria linea dedicata. L’acqua, il CO2
catturato dalle ciminiere CCPC e i fanghi separati alla fonte da moduli
depurativi verticali PVUM (purifying vertical urbans module), senza essere mischiati, giungeranno al GSP più vicino che
concretizzerà il lavoro anche delle sezioni periferiche producendo energia
pulita, concimi naturali acque alcaline.
La tutela
dell'ambiente dipende soprattutto dal coordinamento di varie attività,
energetiche depurative, alimentari, industriali Il coordinamento per essere
credibile lo devono fare autorità scientifiche al di sopra degli interessi di
parte, che conoscono il territorio nel quale operano In Italia e nel mondo,
quando bisogna realizzare un'opera ambientale di qualsiasi genere, coinvolgono
le università locali, almeno per delle consulenze, parziali, come ricerche
geologiche, calcoli strutturali, idraulici di particolari complessità, impatti
ambientali e via di seguito. L’energia biologica che si sta sviluppando in
Europa, bruciando biomasse, trasformando i contadini in produttori di energia,
producendo biocombustibili, contrariamente a quanto si possa pensare, ha scarsi
legami con il territorio perché non recupera il calore disperso dagli attuali
impianti termici e non coglie l’occasione per utilizzare il CO2 in favore
dell’ambiente, mediante l’aggiunta di calcio, possibilmente sottratto a freddo
al materiale calcareo immagazzinato (sistema descritto in altre pubblicazioni).
Le Università sono fuori dagli attuali sistemi depurativi ed energetici, eppure
sono colpevoli, come le altre strutture pubbliche, per i danni ambientali e il
mancato avanzamento dello stato dell’arte. Le consulenze marginali che
concedono, molte volte, a titolo personale, singoli professori, non hanno aiutato
l’ambiente. Sarebbe molto diverso il loro contributo se avessero fornito
consulenze collegiali basate sui sistemi globali, depurativi ed energetici. Le
università, essendo strutture pubbliche hanno una linea preferenziale con i
legislatori e data la grande presenza e distribuzione sul territorio, i
gemellaggi con università europee e mondiali, potranno diffondere il sistema a
macchia d’olio nel mondo. Non devono sostituire gli attuali progettisti ma
produrre studi preliminari di fattibilità ed eventuali brevetti che
sostituiscono macchine depurative che non servono per consentire ai legislatori
di imporre sistemi di protezione ambientali più efficienti.
La scienza pubblica,
non essendo produttrice di macchine, né di biomasse, né di petrolio, né di pannelli
solari, pale eoliche, né di qualsiasi altra forma di energia può scegliere le
soluzioni migliori nell’interesse dell’ambiente, inserendole nelle opere
strutturali globali. Come ha cercato di anticipare il sottoscritto, nella sua
modesta attività di inventore, ugualmente sopra le parti. Come le università,
interessato soltanto al riconoscimento del proprio lavoro. Gli stati devono
finanziare le opere strutturali che proteggono l’ambiente da qualsiasi tipo di
inquinamento industriale o energetico e recuperare le risorse che oggi si
sprecano proprio per l’assenza di queste opere.
Devono anche finanziare la
ricerca di nuove energie, ma non la produzione fino a quando non saranno
competitive. I produttori di energia che riusciranno a recuperare queste risorse,
produrranno energia con minori costi ma anche concimi naturali e acque
alcaline, sostituendo vantaggiosamente gli attuali depuratori. Di fronte a
queste importanti innovazioni che il. mondo, a parole, auspica ma accoglie con
inspiegabili silenzi, la scienza pubblica non può tacere. Deve prendere una
posizione e schierarsi. Addirittura subentrare nella gestione e nella
diffusione di questi progetti. I cittadini del mondo e chi ha lavorato per anni
su questi progetti hanno il diritto di sapere da che parte stanno gli
scienziati, almeno quelli che sono nelle università pubbliche.
Nulla autorizza il
sottoscritto a fare questi voli pindarici sul ruolo delle Università nella
protezione ambientale futura ma chi tace può anche acconsentire. I depositi di
brevetto internazionali del sottoscritto sui quali si basa il sistema GSP
(global sinergy plants), se vogliono, sono a disposizione come punto di
partenza. Le nuove norme sulla tutela della proprietà intellettuale WIPO (world
Intellectual Property Organization)
concedono ai partner pubblici o privati che troverà il sottoscritto di
scegliere i paesi nei quali estendere questi depositi brevetti (che hanno già
rapporti di ricerca positivi dell’ufficio brevetti europeo) entro il maggio
2015. Il resto del lavoro lo devono fare loro.
La protezione globale dell’ambiente è un
terreno vergine, non ancora esplorato dalle aziende private. Le quali hanno
proposto e propongono soluzioni commerciali, non solo per un rapido rientro del
capitale ma anche perché non hanno voluto complicarsi la vita studiando
soluzioni che richiedono l’accesso alle fonti energetiche, idriche, disponibili
sul territorio. La scienza pubblica non può continuare a rinunciare a questo
vantaggio di posizione. Deve rubare le esperienze industriali che ancora non le
appartengono e procedere all’industrializzazione della protezione
dell’ambiente, che è di sua pertinenza, rendendo applicabili normative
ambientali che renderanno più sostenibile anche l’industria. Da queste scelte
si vede se un paese vuole veramente crescere. Il resto sono chiacchiere alle
quali non crede più nessuno
Cordiali saluti
Luigi Antonio Pezone